Saracino Arreda

  • I nostri prodotti
  • Blog
  • Chi Siamo
  • Carrello
  • categorie prodotti
  • I nostri Marchi
menu
  • I nostri prodotti
  • Blog
  • Chi Siamo
  • Carrello
  • categorie prodotti
  • I nostri Marchi
Home/Arredamenti & Suggerimenti d'Arredo

Blog

Category Archives: Arredamenti & Suggerimenti d’Arredo

La filosofia DORELAN: migliorare la qualità della vita

Posted by: admin / Posted on: 3 Ottobre 2012 / Category: Arredamenti & Suggerimenti d'Arredo

Dorelan lavora da oltre quarant’anni con la consapevolezza che un sano riposo migliora la qualità della vita. Questo è il principio sul quale ha costruito la nostra storia aziendale, che guida le azioni del presente e verso il quale si orientano i progetti del futuro. Mantenerlo, è un dovere e un obiettivo ambizioso. Ecco perché Dorelan si avvale della collaborazione di importanti Istituti di ricerca italiani e di partnership con i migliori Atenei che, insieme ai propri laboratori, lavorano con l’obiettivo di portare tutto il sapere scientifico al servizio del benessere, per dormire bene e vivere meglio. DORELAN PRODUCE IL SISTEMA LETTO COMPLETO Il riposo che migliora la qualità della vita deve essere personalizzato, in grado cioè di soddisfare le caratteristiche fisiologiche del sonno di ogni individuo; per questo, Dorelan, consapevole delle diverse necessità, produce tutti gli elementi – dal letto al materasso alla rete, dal guanciale agli accessori – dando per ciascuno diverse varianti che, sinergiche tra loro, permettono di creare il proprio sistema-letto completo. Dai contenuti di design per il letto alla tecnicità per i materassi il sistema letto è concepito sulle peculiarità e sui gusti del singolo individuo per un riposo corretto e appagante. LA QUALITÀ DEI PROCESSI PRODUTTIVI “E’ importante scegliere un materasso progettato per la piena soddisfazione del cliente che deve essere qualitativamente valido e rispondere a caratteristiche ben definite e regolamentate. Dorelan ha fatto della qualità dei processi produttivi, un valore irrinunciabile, per questo, i prodotti Dorelan, sono certificati da importanti Enti accreditati che attestano la capacità del suo sistema qualità di adeguarsi alle esigenze del cliente e assicurare costanti controlli in ogni fase di lavorazione con lo scopo di controllare costantemente la qualità.” LA CERTEZZA DI MATERIALI DI QUALITÀ “Non c’è nulla di più prezioso della salute dei bambini. I prodotti Dorelan sono sottoposti a numerosi e rigorosi test per tutelare la salute dei bambini che, specie nei primi anni di vita, sono vulnerabili e hanno bisogno di essere protetti; in particolare, specifiche linee di materassi a marchio Dorelan, hanno ottenuto, con successo, la certificazione Oeko-Tex Standard 100 Classe 1, documento che attesta l’altissima qualità e salubrità dei materiali.” INVESTIMENTI IN RICERCA E INNOVAZIONE LA RICERCA COME VALORE AZIENDALE “Dorelan si avvale della collaborazione di importanti Istituti di ricerca e dei dipartimenti delle migliori Università italiane. I laboratori dell’azienda sono monitorati e controllati da accreditati partner esterni che ne verificano e avvalorano il risultato scientifico. E’ una scelta senza dubbio impegnativa sia in termini economici, sia di tempo che garantisce al cliente una sperimentazione rigorosa. I prodotti Dorelan nascono dalla più avanzata ricerca e dalla competenza di professionisti esperti del sonno con l’obiettivo di portare tutto il sapere scientifico al servizio del riposo e del benessere.”

L’Architetto delle case-ritratto

Posted by: admin / Posted on: 26 Gennaio 2011 / Category: Arredamenti & Suggerimenti d'Arredo

A Saint-Gilles, in rue Américaine 25-23, vi è una casa che sintetizza mirabilmente l’opera e gli ideali di un architetto considerato tra i maggiori rappresentanti dell’ Art Nouveau, Victor Horta. Progettata e costruita tra il 1898 e il 1901, la casa presenta due distinte facciate che corrispondono rispettivamente all’abitazione e allo studio-laboratorio dell’architetto belga. In questa, come del resto nelle altre case da lui realizzate, ogni dettaglio, anche della decorazione interna e dell’arredamento, è previsto dal progettista che concepiva la casa come un insieme unitario che deve riflettere fedelmente la personalità, le convinzioni e i modi di vita degli abitanti. Nascono cosìle inimitabili, originalissime case-ritratto di Horta. Vissuto in Belgio’ dal 1861 al 1947, Victor Horta fu uno degli inventori e degli interpreti più originali dell’architettura Art Nouveau. Caratteristica principale del suo stile è la linea “en coup de fouet”, la sferzata che ritroviamo in ogni dettaglio decorativo ispirato al mondo vegetale, un mondo dove però non esistono fiori, ma solo fantastiche foglie, steli e liane guizzanti. Altro tratto distintivo della sua architettura è lo sforzo costante di progettare e realizzare case estremamente personalizzate che devono essere non solo in funzione di chi le occupa, ma ne devono rappresentare il ritratto. La sua clientela è la nuova borghesia industriale che negli stili del passato non può trovare nulla di adeguato al suo bisogno di affermazione, al suo stile di vita e alla sua fiducia nel progresso. Horta avvertì già all’inizio della sua carriera presso lo studio dell’architetto Balat questa inadeguatezza e lavorò alla creazione di un nuovo linguaggio decorativo. Da Balat apprese a utilizzare il ferro, che per la prima volta fa il suo ingresso nelle case delle classi sociali più elevate, mentre precedentemente era confinato all’architettura industriale o comunque considerato un materiale povero.
Al ferro si combina poi il vetro, che lascia penetrare negli interni un altro vitale ingrediente dell ‘architettura di Horta, la luce. Egli rompe con la tradizione anche nel disegno delle facciate, dove ogni simmetria è abolita per far posto a grandi aperture concepite in connessione alle esigenze di luce degli interni, e la monotonia lascia il posto a un ritmo fantastico e gioioso. Nella pagina d’apertura: parte delle due facciate di casa Horta, a sinistra quella dell’abitazione e a destra quella dello studio. La prima è caratterizzata dai balconi intercalati da una veranda a bow-window, mentre l’altra è più semplice, con grandi vetrate per dare agli ambienti di lavoro il massimo di luminosità. Il rivestimento delle facciate è in pietra bianca, un materiale molto amato da Horta. Le parti in ferro non sono abbondanti come in altre realizzazioni di questo stile, limitate ai balconi e alle inferriate. Nella pagina precedente: un angolo dell’abitazione particolarmente intimo e accogliente, illuminato da un’ampia finestra e arredato da armadi in frassino e da una dormeuse in stile liberty.In questa pagina: l’ambiente forse più significativo della casa-museo di Horta, la sala da pranzo con annessa una luminosa veranda. Il rivestimento delle pareti è realizzato con mattoni smaltati di bianco che fanno risaltare il color miele del frassino utilizzato per i serramenti e per i mobili, ad eccezione del tavolo e delle sedie di disegno piuttosto semplici che sono in quercia. Il pavimento è un mosaico di marmo, con un parquet che, sotto il tavolo, fa le veci di un tappeto ben evidenziato da un triplice contorno in frassino, rame e mosaico. Nella veranda, tra ricordi dell’architetto che ci riportano all’attuale destinazione a museo della casa, alcuni mobili che Horta inviò all’esposizione internazionale di Torino del 1902. L’ultima immagine è dellucernaio sopra la scalinata principale, considerato una delle più suggestive creazioni di Horta.
Come gli esternianche gli interni rispondono ai medesimi criteri di novità, esuberanza decorativa, personalizzazione, utilizzo di materiali inconsueti, adozione di ardite soluzioni tecniche, libertà da ogni schema mutuato dal passato e privo di motivazioni necessitanti. Un esempio a questo proposito molto significativo è la sua casa-studio di Saint-Gilles, ora sede di un museo a lui dedicato, di cui in queste pagine vediamo due ambienti e il lucernario della scalinata. Anche da queste poche immagini si può notare come ogni particolare della struttura, della decorazione e dell’arredo concorra a creare un insieme stilisticamente unitario. Le sue case sono sue dai muri ai mobili, dai serramentii alle vetrate fino ai tappeti e alla decorazione delle pareti. E questa cura del risultato estetico non andava disgiunta dalla considerazione per gli aspetti più propriamente utilitaristici, anzi, la caratteristica e la qualità più evidente di questo architetto consiste appunto nell’ingegnosa compenetrazione di funzionalità ed estetica.

Fernando Saracino

Il salotto trasformabile

Posted by: admin / Posted on: 19 Gennaio 2011 / Category: Arredamenti & Suggerimenti d'Arredo

Una delle caratteristiche più interessanti e anche più curiose del salotto del nostro tempo è costituita dalla trasformazione delle poltrone e dei divani in comodi e morbidi letti che all’occorrenza sonò della massima utilità, perché vengono utilizzati specialmente nei momenti d’emergenza, sia che si tratti di un ospite inatteso eppur gradito, oppure di uno stesso componente della famiglia per il quale non ci sia la possibilità di destinargli una stanza propria; ed ecco che il mobiletto si trasforma in modo provvidenziale e ce lo ritroviamo a portata di mano nel soggiorno, in salotto e dovunque ci sia lo spazio per contenere un divano o una poltrona adatti a tale uso.
È noto che fra i mobili dell’arredamento moderno, quelli che maggiormente hanno subito una profonda modifica nella loro intima struttura, a causa delle mutate condizioni di vita, sono le sedie, i divani, le poltrone, il letto.
In questo caso si tratta di vere trasformazioni reazionarie che sovvertono l’ordine delle formule tradizionali poiché ci troviamo di fronte a strutture che niente hanno a che fare con la tradizione, dove tutto procede secondo rigidi canoni di disciplina infrangibile, mentre nel sistema moderno entriamo in un campo di libertà creativa inaudita colla quale si raggiungono risultati di un’audacia senza pari qual’è appunto l’inserimento di un letto in una poltrona o in un divano.
Niente di tutto ciò si è mai visto nel passato. Eppure l’uomo ha da sempre manifestato il suo bisogno inalienabile di ricerca della comodità, che costituisce il carattere primario dell’arredamento odierno.
Anticamente prevaleva invece la ricerca estetica, per cui anche i sedili, che sono il mezzo più semplice con il quale si esprime tale qualità, non erano affatto comodi, tutt’altro, ed in certi periodi si è trattato di assidersi direttamente su oggetti di pietra e di nudo legno, e questo in epoche più recenti quando le usanze si erano un po’ più mitigate.
Una certa nota di praticità la ritroviamo nell’epoca classica romana quando alcuni divanetti chiamati Kline, servivano nei banchetti per mangiare e per dormire.
Da una statistica sull’evoluzione di questi mezzi a sedere, risulta che il Seicento è l’epoca in cui la poltrona assurge alla sua qualità di mobile fine a se stesso, mentre con il Settecento abbiamo l’impostazione del salotto classico composto del gruppo divano-poltrone e tale formula non è più tramontata ma si è mantenuta sino ai nostri giorni, quando si è prodotta ancora quella trasformazione singolare che è il soggetto del nostro studio.
Le nuove forme dei sedili hanno oggi una struttura atipica e pertanto sono adattabilissime ai più svariati ambienti dal tradizionale, al classico, al rustico, ed esse non inibiscono affatto il gusto personale ma lo rinvigoriscono e valorizzano.
La portata rivoluzionaria di questi mobili è grandissima perché si riesce ad ottenere da un solo esemplare due funzioni e due fisionomie. Così nel divano-Ietto e nella poltrona-Ietto abbiamo due componenti in uno, che senza mutare la loro forma nascondono nel sedile che si ribalta il materasso già pronto per qualunque occasione.
Ne risultano quindi il posto a sedere e quello a dormire quando se ne presenti la necessità ed in questo caso il letto d’emergenza, ribaltabile e trasformabile, è di un aiuto provvidenziale.
Il salotto così trasformato, in una maniera prettamente moderna e dotato di grande praticità, ha ottenuto larghi consensi di pubblico e di stima e per soddisfare alla richiesta sempre crescente sul mercato le ditte specializzate sono in grado di fornire modelli sempre più perfetti, sempre più adatti ed adattabili ad ogni ambiente, a qualunque esigenza anche la più complessa.
Come esempio del nostro argomento, vale la produzione della spett. Ditta Saracino Arreda in Avetrana, nella quale appare in maniera efficace la funzione decorativa oltre che pratica dei divani e delle poltrone trasformabili, trattata in forma quanto mai moderna, . dove la bellezza della linea, del rivestimento, della fantasia rivelano pur sempre l’inconfondibile spirito del gusto italiano.

Fernando Saracino

Con la spontaneità, l’intenzione

Posted by: admin / Posted on: 7 Luglio 2010 / Category: Arredamenti & Suggerimenti d'Arredo

È sorprendente constatare come le vecchie costruzioni di origine spontnea e popolare siano quasi sempre dotate di un’armonia, tanto rara invece nella maggior parte degli edifici più recenti in cui Il cemento ha preso il posto della pietra e una professionalità spesso poco attenta alle ragioni dell’estetica s’è sostituita alla pratica fantasiosa, dei muratori di una volta. E così che un vecchio fienile con stalla annessa può agevolmente essere trasformato in casa d’abitazione, ricca all’interno di spazio e di luce e all’esterno perfettamente inserita nel paesaggio collinare. Nonostante l’architettura originale non abbia subito sostanziali modifiche, la costruzione si presenta ora con un carattere di grande ordine e pulizia dato dalla creazione di un vero e proprio giardino accanto alla casa.

L’interno, per assumere aspetto e funzionalità di casa d’abitazione, ha dovuto es¬sere reinventato quasi per intero, seguendo però i sug¬gerimenti offerti dalla strut¬tura e dal luogo in cui essa sorge. Così i pavimenti del piano terra adottano un cotto fatto a mano, i vecchi muri perimetrali e quelli di recente realizzazione sono stati uni formati con un ru¬stico intonaco bianco e i soffitti rivestiti con perline d’abete su cui spiccano travi che appartenevano già alla struttura originale. In ognuno dei locali al piano terra è stato poi ricavato un camino.
La dislocazione delle diverse funzioni è quella consueta delle case su due livelli sia di ieri che di oggi: il piano terra per il giorno e il primo piano per la notte. Il corpo antistante a un solo piano ha consentito poi di dare notevole respiro alla prima zona e, tra gli ambienti che la compongono, soprattutto al soggiorno che ha dimensioni grandi e accoglienti. C’è però da notare che la casa si inserisce su un terreno scosceso, per cui su un lato risulta seminterrata con il primo piano al livello della strada di accesso. Nella zona a ridosso del terrapieno è stata ricavata una taverna; completa il trittico della zona giorno una cucina con ampie aperture su due lati, a mostrare un gradevole insieme di vecchi mobili, utensili e attrezzature. Già negli altri ambienti situati al piano terra si può avvertire un rigore stilistico ispirato ad ambientazioni rustiche, ma vi è anche in essi qualche concessione al superfluo, soprattutto sotto forma di piccole collezioni che narrano sulle pareti brevi storie di oggetti un tempo comuni. Nelle camere l’ade¬sione a vecchi modelli di arredamento rurale è più fedele e l’impronta si fa decisamente sobria, non austera perché c’è spazio ad e¬sempio per un colpo di colore come quello dato dalla testi era in ferro battuto. Ciò si deve in parte alla mode¬sta disponibilità di spazio sia in pianta che in altezza, ma anche alla scelta di sod¬isfare in questi ambienti un’estrema esigenza di rigore che il bianco dei muri e il legno dei mobili ben rappresentano.

La Casa Classica vista da Silvano De Pietri

Posted by: admin / Posted on: 7 Luglio 2010 / Category: Arredamenti & Suggerimenti d'Arredo

Silvano De Pietri è nato nel 1944 a Parma dove vive e lavora.
Dopo alcune esperienze nella scenografia e nella pubblicità, di cui continua ad occuparsi, dal 1972 si dedica alla pittura.
I primi ad interessarsi del suo lavoro sono i critici Gianni Cavazzini e Roberto Tassi, che lo presenta nella sua prima personale alla Galleria Eidos di Milano.
“Il giovane artista intraprende l’analisi realistica di un tema unico, ripetuto e rappresentato ossessi vamente: la figura umana forzata in innumerevoli torsioni, eretta, e assopita, spiata «vojeuristicamente» in ambienti vuoti, permeati dalla solitudine immersa in una specie di emulsione di blu, azzurro e grigio che avvolge e che suscita una sensazione fabulosa, quasi irreale” (R. Tassi).
“I silenzi, le penombre, le rarefatte atmosfere” (M. De Micheli) dei primi anni di lavoro, assieme all’attenzione cruda per il particolare, un ginocchio, un fianco, un’ombra fra le .scapole rimangono nella ricerca di De Pietri.
Dal ’75 in poi cambiano i temi, ma non i modi e i mezzi: alle fattezze e alla disgregazione del tessuto umano si sostituiscono i bagliori del metallo degli “oggetti macchine”. Questi lavori finiscono per essere iperreali tanto da divenire rappresentazione di temi onirici che slitta¬no dalla banalità del quotidiano nell’universo surreale dell’inconscio. Dalla raffigurazione del dramma violento ed esteriore dei corpi pallidi e contratti, De Pietri induce all’angoscia sottile e più nascosta dei particolari meccanici, risvegliata da lame acuminate, minacciose, che altro non sono se non elementi di un innocuo apriscatole. Ma l’enigma continua nei lavori presentati alla fine dell’81 alla Gal¬leria Consigli di Parma, nei quali un’oggetto di metallo, come uno strumento di misurazione con graduatori, viene ripetuto e moltiplicato in uno spazio bianco e asettico, mostrando innumerevoli aspetti, senza ripetersi e, anzi, potendo far pensare a forme diverse, ispirate da diversi modelli” (V. Sgarbi). La tecnica preferita dall’artista diventa la grafite su carta riducendo spazio e colore al rigore concettuale del bianco e grigio, ma riscoprendo la morbidezza dello sfumato, del chiaro-scuro alla maniera dei classici. Gli ultimi lavori, che saranno tema di un’altra mostra alla Galleria Consigli, raffigurano oggetti irriducibili al quotidiano, entità irriconoscibili, piccole forme, ormai prossime all’astrazione, che dallo spazio limitato del supporto si espandono nella scenografia di un ipotetico ambiente teatrale come ar¬chitetture galattiche di un immaginario futuro.

Si erige un tempio all’Idea della misura e del disegno. Una struttura classica, ma con lo spessore di una scenografia da teatro. L’evidente finzione della scienza del costruire gioca a favore dello strumento, un
macro-cornpasso a guardia della soglia, alle cui spalle non si intuiscono i limiti di un interno, ma lo spazio nebuloso e sconfinato dell’immaginario.

L’Illuminismo artistico di Maria Teresa d’Austria

Posted by: admin / Posted on: 25 Marzo 2010 / Category: Arredamenti & Suggerimenti d'Arredo

Che l’Italia in certi periodi della storia abbia maggiormente importato che esportato canoni estetici per l’arredamento è un fatto più che confermato se si tengono in considerazione tutti i vari “passaggi di proprietà” che il nostro Paese ha subito quando, prima dell’unità, era diviso in piccoli staterelli continuamente contesi fra le grandi potenze europee. A seconda delle varie zone d’influenza perciò il Settecento e la prima metà dell’Ottocento per esempio hanno visto Francia, Spagna e Austria avvicendarsi al trono del costume e dell’arte impostando un modo di concepire la vita quotidiana, e anche l’arredamento, più o meno recepito dalla mentalità italiana, con maggiori favoritismi e consensi per il gusto francese che per quello spagnolo. Il discorso per l’Austria si differenzia un pò dagli altri due, poiché, considerando che il mobile stile Maria Teresa che presentiamo, oggi realizzato da un’azienda di Bolzano, la Selva, bisogna non solo tener presente che nell’epoca dell’illuminata sovrana il capoluogo alto-atesino faceva ancora parte integrante dell’Impero austriaco, ma che questo governava anche sul Ducato di Milano, diffondendo prima solo nella zona fra il Ticino e l’Adda, poi anche nella vasta Repubblica di Venezia, le tipologie e i caratteri formali sobri e rigorosi dell’artigianato d’oltralpe. Se comunque il carattere fantasioso dell’italiano recepiva qualsiasi tipo di messaggio creativo per modificarlo e farne qualcosa che rispecchiasse maggiormente la sua sensibilità, con l’assolutismo sì, ma illuminato di Maria Teresa che creò le condizioni per una rinascita intellettuale e si identificò con un periodo culturale molto vivace, si spianò il terreno anche per far accogliere stimoli più propriamente legati alla vita di tutti i giorni. Bisogna dire inoltre che un tipo di mobile quale per esempio il trumò a tabernacolo dell’immagine e in ge nere una tipologia settecen¬tesca raffinata ma senza eccessivi orpelli poteva ben corrispondere al gusto dell’Italia settentrionale che invece, a contatto con il fasto del mobile francese, si trovava necessariamente a doverlo riadattare a moduli più semplicistici sfrondandolo e alleggerendolo dell’esuberante decorazione. Così il trumò in questione nella versione originale si presenta nella più raffinata moderatezza mitteleuropea, ma con ben definiti gli stilemi artistici, primo fra tutti l’intarsio, del XVIII secolo. Come mobile contenitore si caratterizza per l’estrema funzionalità, dotato di ben 20 fra cassetti e cassettini, di cui tre grandi nella base, due a delimitare la ribaltina che ne scopre altri quattro più un vano a giorno e nove nell’alzata che perimetra su tre lati l’antina centrale con cimasa a cappello. Sostenuto da quattro piedini a cipolla, il pezzo è realizzato in tiglio od ontano massello placcato in radica di castagno e noce, con filetti in acero. La decorazione, oltre ai filetti intarsiati che segnano la posizione dei copriserratura, della maniglie ad anello, dei pomoli a rosetta e i pannelli della ribalta e dell’antina, si avvale del delicato disegno della cimasa che nelle due parti laterali termina internamente a ricciolo

Amicizia di eleganze ottocentesche

Posted by: admin / Posted on: 17 Marzo 2010 / Category: Arredamenti & Suggerimenti d'Arredo

Un intreccio di tendenze post-imperiali è ciò che maggiormente caratterizza questo comò realizzato da Mastro Capellini di Rottofreno. Come per tutte le espressioni artistiche che hanno lasciato un’indelebile impronta in campo stilistico, anche lo stile Impero, così determinante per l’Ottocento nella sua proposta di canoni essenzialmente nuovi, ha suscitato reazioni opposte nel periodo immeditamente successivo. Ma in questo caso il passaggio da uno stile all’altro è stato mediato dallo spirito insito agli stilemi del XIX secolo: uno spirito che ha stimolato un gusto per il “revivalisrno” al punto tale da spaziare nelle epoche stilistiche e assemblare elementi diversi in una rivisitazione originale. La peculiarità nasce perciò da un’elaborazione che unisce l’imitazione all’eclettismo, realizzandosi compiutamente in creazioni particolari per le loro caratteristiche di cosciente ricapitolazione e coerente montaggio delle parti. La considerevole rottura dell’Impero con gli stili che l’avevano preceduto viene così ridimensionata e riportata a livelli di riconciliazione con il passato più recente. C’è quasi un sincronico procedere di pari passo degli eventi storici dell’epoca con le tendenze stilistiche in campo arredativo: come la rivoluzione francese e il “cesarismo” napoleonico avevano offuscato e travolto i principi etico-politici dei governi assoluti, così lo stile Impero appariva degno delle grandi idee rivoluzionarie del 1789.
Con l’età della Restaurazione le forze della conservazione ripresero potere e ristabilirono l’assetto precedente la bufera napoleonica e allo stesso modo nella storia dell’arredamento si fece sentire un ritorno al Settecento e oltre, giungendo alle soglie del Rinascimento. II periodo della Restaurazione, che vede il riaffermarsi dei Borboni sul trono di Francia, con Luigi XVIII prima, seguito da Carlo X e infine Luigi Filippo, ristabilisce, insieme poi al Secondo Impero, dal 1852 al 1870, forme e decorazioni dei
secoli passati. La reazione si fa soprattutto evidente nel rifiuto delle linee diritte, delle superfici piane, degli angoli vivi, dell’assenza di modana¬tura. La rigorosità delle forme prevalentemente cubiche di cassettoni e sècretaire la¬scia posto ad una maggior gentilezza e sinuosità: le linee tornano ad addolcirsi e ad ar¬rotondarsi, le strutture si fanno meno spigolose e slanciate per appesantirsi leggermente, assolvendo ai compiti di robustezza e solidità pretesi dalla borghesia del tempo.
Nel comò che presentiamo questi elementi trovano pie¬no riscontro: il mobile è rea¬lizzato in radica di olmo, che con le sue marezzature crea un gioco di chiaroscuri di notevole effetto. Il tema del ri¬quadro sottolinea le varie parti, incorniciando sia i cassetti, sia i pannelli laterali con l’utilizzo dei toni più caldi del palissandro, legno particolarmente apprezzato nel periodo della Restaurazione e del Secondo Impero. Una leggera filettatura in un ‘essenza più chiara pone in maggior evidenza il piacevole contrasto tra la tonalità ambrata della radica e quella più decisa del palissandro. La struttura è modulata da un continuo contrapporsi di spazi concavi e convessi, che ammorbidiscono la solidità e l’imponen¬za del pezzo: a ciò concorrono il frontale leggermente avanzato e i pannelli laterali rientranti, messi ancor più in risalto dalla definizione delle colonnine. Queste ultime, insieme all’uso del bronzo nelle maniglie dei cassetti, offrono chiaramente spunti a collegamenti con lo stile Impero, ma anche al Rinascimento, che tanto ha sfruttato i motivi architettonici delle civiltà classiche. Ed è forse l’armoniosità delle forme e la solenne robustezza della struttura a riportarci alle ispirazioni classicistiche del Cinquecento, avvalorate anche dai piedini a cipolla che sostengono il mobile. La brillantezza della lucida tura impreziosisce il pezzo, apportando un’ulteriore nota di eleganza.

Toscana, culla di civiltà

Posted by: admin / Posted on: 17 Marzo 2010 / Category: Arredamenti & Suggerimenti d'Arredo

In un’epoca in cui architettura e arredamento si compenetrano a tal punto da seguire le stesse linee di tendenza, nasce questo modello di credenza, ricostruita su ispirazione di esemplari del Quattrocento toscano dalla Bottega Artigiana Tarpac di Lucca. Forme create in Toscana e reinventate in Toscana, che nel Rinascimento detiene la palma del primato in tutti i campi dell’arte: arte che in questo periodo diventa elemento di prestigio più di quanto non lo sia stata in passato, provocando una sorta di vivace emulazione e innestando uno spirito di competitività tra i maggiori centri culturali italiani. Non a caso perciò la Toscana diviene anche la culla del mobile nazionale, vantando, sin dai primi del XV secolo, un’organizzazione esemplare nell’arte del legno, installatasi già nel Trecento. La vivacità intellettuale degli architetti del tempo influenza in modo determinante gli artigiani del mobile, che traducono in legno forme pensate per la pietra. L’ebanisteria toscana, e in particolare quella fiorentina, esce dai confini diffondendo un nuovo linguaggio stilistico attraverso le opere di figure dominanti del secolo quali Giovanni di Matteo e i fratelli Da Maiano, architetti di Firenze ricordati dal Vasari anche per le loro qualità di maestri intagliatori. Non solo valica ambiti toscani, ma riesce a conquistare le corti europee, quella di Francesco I, di Elisabetta d’Inghilterra.

Le esigenze di rinnovamento spalancano le porte all’Evo Moderno in ogni campo, uscendo dall’immobilismo me-
dievale; anche l’arredamento, nell’arco di pochi decenni, subisce un ‘evoluzione più rapida di quanto non abbia avuto nei secoli precedenti: la libera ispirazione all’antichità romana in campo formale si sposa a nuove esigenze di comodità in campo funzionale. Il mobile della tradizione gotica• viene lentamente soppiantato per lasciar posto a forme più armoniose, meno imponenti, più raffinate nell’uso della decorazione. È ovvio che non esiste una netta frattura tra il mondo di prima e quello di poi: nel pezzo che presentiamo, per esempio, compare ancora l’uso decorativo-funzionale del ferro battuto, nelle toppe, nelle maniglie, nei cardini, retaggio dell’abbondante utilizzazione medievale di questo materiale, pur vagliato da un diverso approccio al senso ornamentale. Ma in generale, per quanto riguarda le forme, le funzioni e le strutture, i nuovi mobili si svincolano dalla rigidità formale e dalla mancanza di specializzazione tipologica caratteristiche del Medioevo.
Il mobile va ad assumere un aspetto fondamentale dell’abitazione, connubio di funzione, architettura, ornamento, espressione di un nuovo modo di vivere e di mettersi in relazione con le cose della quotidianità. La borghesia urbana e la società delle corti principesche sono i due protagonisti della nuova civiltà che favoriscono un’arte incline ad un’eleganza aulica ed introducono un nuovo concetto di vita: con il venir meno della religiosità di tipo comunitario e la laicizzazione della vita associata, l’aristocrazia tende più spiccatamente a godersi le ricchezze acquisite piuttosto che a devolverle ad istituti ecclesiastici, considerando la magnificenza della propria vita privata un elemento di prestigio almeno altrettanto valido quanto una prova di devozione. Da qui ha luogo la ricchissima produzione di oggetti d’arte e di artigianato creati per abbellire la propria casa, prima ritenuta più come luogo di ritiro e non come teatro di vita attiva, fulcro delle ambizioni.
Per quanto riguarda il modello specifico che analizziamo, denominato “Carolina”, è da notare l’accuratezza dei particolari, le dolci linee ogivali della pannellatura sagomata, la disposizione e la decoratività degli elementi in ferro battuto a mano, l’importanza della zoccolatura, la calda tonalità del legno masse Ilo naturale di castagno, uno dei legni preferiti dagli artigiani toscani rinascimentali per la sua malleabilità. Tutti i pezzi sono montati, rifiniti e scolpiti interamente a mano da artigiani che rievocano nelle loro tecniche la più pura espressione dell’arte popolare.
Nel XV secolo adibita ad arredare cucine e dispense, la credenza diverrà solo in un secondo tempo elemento da ospitare in sala da pranzo, assumendo una veste più elaborata e le funzioni pressoché odierne. Inizialmente era dèstinata a contenere il vasellame e a fungere da piano di appoggio per le portate prima che fossero servite in tavola. Per creare un’ambientazione autenticamente quattrocentesca, la Tarpac ha arricchito la collezione con terracotte e ceramiche da tavola e da parete, ferri battuti, lampade, candelieri, attrezzi per camino – e tavole dipinte a mano, il tutto aderente all’epoca e allo stile dei mobili

Architettura spontanea

Posted by: admin / Posted on: 4 Marzo 2010 / Category: Arredamenti & Suggerimenti d'Arredo

In varie parti della Sardegna, e soprattutto nella fascia che occupa l’area nord-occidentale, esistono ancora esempi di capanne isolate o di villaggi di capanne che sorgevano vicino ai nuraghi, o almeno in prossimità di zone nuragiche. Queste costruzioni risalirebbero ad un’epoca precedente agli stessi nuraghi e sono comunque da porsi tutte al di qua del I millennio a.C.
V na struttura esterna pressoché circolare, del diametro di undici metri circa, racchiude un vano, anch’esso pressoché circolare, del diametro di sei metri circa, con ingresso obliquo e strombato volto a sud-est, così studiato per meglio godere dei raggi del sole; l’altezza residua del muro a secco è di circa un metro e mezzo, mentre un sostegno centrale regge un tetto conico di frasche o una falsa volta con filari di piccole lastre che doveva ispirarsi alla tholos del nuraghe, la tipica copertura a volta ogivale. Anche il sistema di muratura, costituito da grossi blocchi di pietra allo stato rozzo o parzialmente squadrati, senz’altro legame che il peso stesso dei materiali, è comune a quello del nuraghe. Ma mentre le capanne, riunite in villaggi, svolgevano funzione abitativa, i nuraghi, come è stato ormai accertato, erano costruzioni di carattere militare. L’etimologia del termine è alquanto controversa: alcuni studiosi sostengono che “nuraghe” sia la corruzione dialettale di “muraglie”, altri la associano alla parola “nurra” che ha il significato di “torre cava”, “mucchio cavo”, da cui ha poi preso il nome quella zona della Sardegna nord-occidentale ricca di nuraghi, nonché la città di .. Nora. Le svariate interpretazioni dei nuraghi, antecedenti all’esplorazione scientifica me
diante scavi, attribuiva a queste costruzioni le più contrastanti funzioni: l’opinione più antica era che, come le tholoi micenee, si trattasse di tombe; in seguito furono considerati edifici religiosi, templi sacri dove il sacerdote capo tribù compiva sacrifici e adorava le divinità, fino alle interpretazioni più bizzarre secondo le quali gli antichi sardi avrebbero dormito sul terrazzo dei nuraghi per difendersi dalla zanzara anofele malarica; recentissima è, inoltre, la macabra versione di “torri del si lenzio”, simili a quelle indiane, ove venivano posti a consumarsi i cadaveri prima della loro definitiva sepoltura.
Il fatto, invece, che si tratti di opere militari, rocche forti dell’ aristocrazia e di gruppi relativamente privilegiati o incaricati di compiti particolari, è testimoniato sia dalla loro posizione strategica, di solito dominante una valle, un passo, una fonte, sia dal sovrastante terrazzo che veniva a costituire un mezzo di difesa attiva, da cui era possibile fare uso di armi e dei vari sistemi tramandati si fino all’epoca medievale.
Ci siamo soffermati su questi due aspetti di architettura spontanea, la capanna circolare e il nuraghe, l’uno diretto discendente dell’ altra, per constatare come questi sistemi edilizi si conservino e si tramandino nel tempo a distanza di secoli. Ancora oggi in Sardegna pastori e contadini costruiscono capanne con volta ogivale chiamate “pinnetas”, simili per materiali e struttura alle opere dei loro progenitori. Con le parole di Bernard Rudofsky, cultore dell’architettura spontanea, diciamo che “l’architettura vernacola deve la sua spettacolare longevità ad una ridistribuzione costante di conoscenze duramente conquistate, incanalate Questa continuità di stile è dovuta a vari fattori, tra cui, primo fra tutti, è l’affidarsi a materiali edilizi locali; inoltre, la conformazione insulare del territorio contribuisce a salvaguardare qualsiasi caratteristica indigena, compresi i tipi di alloggio. Se nel passato ammucchiare pietra su pietra non era né un mestiere, né un’arte, ma il risultato di un’irreprimibile necessità, commisurata alle esigenze umane, oggi quest’abitudine si è radicata, incurante delle mode, con un’evoluzione nel tempo quasi impercettibile.

Tutto ciò è espressione tangibile di un modus vivendi, di una concezione della vita che attinge alle radici culturali di un popolo. E se qualcuno attribuisce al villaggio di capanne un aspetto urbanistico sparso e disarmonico è perché erroneamente giudica l’architettura spontanea in base a criteri accademici: pur presentando un aspetto caotico e irregolare, può infatti seguire una sorta di armonia da ricercare in altri elementi che non siano quelli dogmatici. Un po” come l’architetto inglese Inigo Jones che, in un trattato sull’antico monumento megalitico di Stonehenge, pubblicato nel 1655, affermò che gli edifici degli antichi bri¬tannici non possedevano per nulla né ordine, né simmetria, e tanto meno grazia e decoro, esprimendo così la sua scarsa stima per le reliquie architettoniche indigene. Bisogna considerare che a volte la mancanza di simmetria è dovuta al fatto che i costruttori non seguivano piani pro-
grammati in precedenza, come fa l’architetto di professione, ma che talvolta gli edifici venivano modificati successivamente con l’aggiunta di volumi del tutto irrelati, sempre per soddisfare esigenze pratiche. Su questo argomento si è espresso anche Gillo Dorfles in una recensione apparsa di recente su un quotidiano milanese: la dialettica tra centralità e decentramento, tra simmetrico e asimmetrico era qui riferita non solo all’immagine architettonica, ma alle arti visive in genere ed estesa anche alla cultura e ad ogni attività umana. L’asimmetria, la man¬canza di equilibrio e di “perfezione” viene solitamente associata alla stranezza, se non addirittura alla dissolutezza; l’assenza di una rigorosa disciplina formale fa vedere incolte e rozze le case dei contadini e dei pastori. È indubbio che molte grandi civiltà artistiche si sono basate essenzialmente su canoni di centralità, di simmetria e di equilibrio, categorie da sempre ritenute equivalenti di situazioni positive in ogni campo del sapere, sia scientifico, sia artistico o culturale. Già con la rivoluzione barocca prima e con i più grandi impressionisti poi iniziò a farsi strada una concezione visiva che deviava dalla prospettiva tradizionale, privilegiando forme oblique, decentrate, appiattite, allungate. Questi graduali rivolgimenti ci stanno portando forse ad un cambiamento della visione del mondo e dell’arte che ci permetterà di valutare le opere pittoriche, musicali, architettoniche e così via, basandoci su canoni estetici non più sotto messi a dogmatismi schematici, ma lasciandoci la libertà di cogliere il fascino e la suggestività che esse emanano: anche l’architettura spon¬tanea, pur nella sua rozzezza, si rivela un felice connubio di istintività e armonia, al di là della pregnanza etnologia che la investe

Riamare il Liberty

Posted by: admin / Posted on: 4 Marzo 2010 / Category: Arredamenti & Suggerimenti d'Arredo

L’immagine che presentiamo si riferisce alla fedele replica di una vetrina del 1905 disegnata dall’architetto Ernesto Basile, qui realizzata in acero dalla Medea di Meda. Basile, nato a Palermo nel 1857 , aderisce all’Art Noveau negli ultimi anni del secolo, quando le prime clamorose esperienze di Horta e Van de Velde erano già realizzate e divulgate in tutto il mondo. Nel 1898 a Palermo comincia, infatti, l’arredamento del Grand Hotel Villa Igea e pochi anni più tardi, nel 1906, costruisce il Villino Fassini, che può essere con¬siderata la sua opera più completa.
L’Art Nouveau, proponendosi come arte collettiva che diviene espres¬sione di un modo di comportarsi, influenza qualsiasi campo della produzione, dall’architettura all’arredamento, dall’abbigliamento all’oggettistica di uso quotidiano. Con le parole di William Morris diciamo che “L’artista non si accon¬tenta di costruire nell’ideale. Egli si occupa di tutto ciò che ci interessa e che ci tocca … L’arte si mescola a tutte le cose e rifà costantemente la nostra intera vita per renderla più elegante, più degna, più allegra e più sociale”. L’Art Noveau trova il suo campo d’azione più fertile nell’arredamento, che non è fatto solo di pezzi addossati alle pareti: l’inquadratura, lo sfondo, diviene elemento essenziale, fa tutt’uno con il mobile, scoprendo le forme negative, come afferma Van de Velde: “Il massimo di equilibrio e chiarezza spirituale sarà reso possibile solo dalla scoperta del valore estetico che spetta non solo ai contorni positivi, ma anche a quelli negativi degli oggetti… ogni mobile, ogni oggetto, oltre al proprio profilo che si staglia o sulla parete o nell’aria delinea anche su questo sfondo un’altra forma uguale e contraria, che si adatta perfettamente alla sua, e questa forma negativa è altrettanto importante che quella dell’ oggetto stesso, e rende possibile un giudizio sicuro sulla sua bellezza”. Anche in questo mobile-vetrina di Basile si riscontra, oltre alla sagomatura fortemente caratterizzante, l’utilizzo di forature perimentranti l’alzata che fanno riapparire lo sfondo all’interno della figura, risolvendo il conflitto tra ambiente e mobile in una “linea di osmosi”. Nel mobile Liberty rifluisce il gusto della linea, della trasparenza, della rievocazione delle strutture del mondo vegetale realizzata a vari livelli di astrazione. L’elemento caratteristico della linea Art Nouveau è l’andamento sinusoidale, che, per un processo di sdoppiamento, tende a traslarsi simmetricamente in ripetizioni ritmiche. Le linee curve dell’alzata della vetrina, vengono, infatti, riprese nella conformazione delle ante nella parte inferiore che, per un gusto della trasparenza tipicamente Liberty, vengono ulteriormente alleggerite da pannelli in vetro colorato. Anche nei fregi e nelle bordature prevale la successione lineare e la simmetria traslatoria. L’attenzione al dettaglio naturalistico porta all’utilizzo decorativo di forme vegetali e animali attraverso un processo di astrazione e stilizzazione, generando a volte incroci ed innesti di diversi modelli naturali. Qui per esempio, le decorazioni floreali intagliate e scolpite vengono affiancate da specie di piedini zoomorfi che poggiano sul piano del mobile e reggono l’alzata. Lo stesso elemento è riportato rovesciato nel¬la parte superiore, trasformandosi qui in elemento floreale.

Boulle nell’eclettismo di Napoleone III

Posted by: admin / Posted on: 2 Marzo 2010 / Category: Arredamenti & Suggerimenti d'Arredo

Agli occhi del profano, o meglio, di chi ha solo una conoscenza superficiale sulla storia degli stili del mobile questo maestoso letto riccamente decorato di creazione Carletto Monzio Compagnoni, Treviglio, potrebbe tradire la ripresa di un modello molto più datato di quanto non sia in realtà. Boulle, il famoso ebanista seicentesco, è il primo nome che viene alla mente, ma se il modello sicuramente del Seicento non è, l’errore non è poi così grossolano. Gli esecutori odierni di questo pezzo hanno infatti ripreso per la loro realizzazione un originale ottocentesco: e qui qualsiasi fraintendi¬mento cronologico si svela. Se infatti fino al X IX secolo gli stili si sono succeduti nel tempo legandosi fra lo¬ro mediante elementi di continuità formale e cam¬biamenti graduali, oppure a volte decisamente staccan¬dosi l’uno dall’altro nel mo¬mento in cui imperversava una rivoluzione di gusto che mutava radicalmente le tendenze in voga nel periodo immediatamente precedente, l’Ottocento si distingue per la sua caratteristica di riabilitare e riportare in auge alcuni stili del passato, soprattutto quelli molto ornamentali destinati ai ceti alti, quelli più sobri e rigo¬rosi invece per i nuovi ricchi, la borghesia ormai cresci uta che si è conquistata una posizione in società. Il letto che presentiamo è il rifacimento di un esemplare realizzato all’epoca di Napoleone III, il cui regno, che durò dal 1852 al 1870, segnò una fase di prosperità nazionale favorita dall’incremento industriale. Stilisticamente Napoleone III viene associato al periodo di Luigi Filippo, che lo precedette al trono di Francia: infatti dopo gli stili “classici” che caratterizzarono il Direttorio, il Consolato, l’Impero e la Restaurazione, con Luigi Filippo e Napoleone III iniziò il cosiddetto eclettismo che, seppure ancora risentiva dello spirito archeologico dell’Impero, tornò indietro nel tempo per riprendere canoni che spaziavano dal Rinascimento al Luigi XVI. E fra questi “repechage” formali non poteva mancare Boulle, per il quale lo stile Napoleone III aveva una speciale predilezione e che ben si adattava al gusto del¬l’epoca, amante di tutto ciò che prestasse particolare attenzione al decoro. Tornano così a rivivere i virtuosismi dell’ebanista seicentesco, gli intarsi che accostano i materiali più inconsueti e preziosi come l’avorio e la tartaruga, in un gioco di cromatismi fortemente caratterizzante. A completare il mosaico che spicca sulle parti scure dell’ebano compaiono gli elementi in ottone o in bronzo, come nel letto che presentiamo, dove figure umane e allegoriche si alternano ad anfore ed elementi fitornorfici. Lo stile Luigi Filippo e ancor più il Napoleone III, che ne rappresenta la diret¬ta continuità e anzi con un apporto maggiore di modelli risalenti alle epoche più distanti fra loro per concezione formale, sono stati a volte tacciati per mancanza di creatività: come se, celandosi sotto le mentite spoglie di un’esigenza di revival dal risonante nome di eclettismo, manifestassero solamente vuotezza culturale e artistica, mancanza di nuove idee da proporre. Tenendo presente che anche ogni novità segue necessariamente un’ispirazione e che il rifacimento implica pur sempre una dose di creatività, lo stile Napo¬leone III trova ulteriore giustificazione nel fatto di aver ripreso antiche tecniche decorative riadattandole allo spirito del tempo in corso. E se era con quei canoni formali che i francesi del¬l’Ottocento si identificavano, meglio riportare alla luce tradizionali modi di espressione artistica piuttosto che inventarne altri che non avrebbero potuto in quel momento storico e sociale incontrare l’approvazione generale

Architettura integrale nello spazio abitato

Posted by: admin / Posted on: 19 Febbraio 2010 / Category: Arredamenti & Suggerimenti d'Arredo

Prima la casa, poi il verde, quindi il territorio. Questi sono, gerarchicamente, i valori tradizionali dell’intervento architettonico. Ribaltiamoli. E prendiamo gli ultimi due come parametri di partenza. L’itinerario – prima creativo e poi imprenditoriale – è il territorio per arrivare alla casa. E’ la proposta dei Vivai del Sud.
Cominciamo con il verde. I Vivai del Sud sono nati proprio con la ricerca, la conoscenza, l’architettura del verde. Soprattutto del verde che caratterizza l’area del Mediterraneo. Le piante in particolare la palma, pianta del sole – sono l’elemento deterrente che consente ai Vivai del Sud di dare significato e valore al programma di architettura « viva”.
E poi c’è il Sud, l’area geografica dove gli spunti per questo programma sono più vitali. L’area del Mediterraneo è infatti il territorio più prodigo di testimonianze, di esempi, di riferimenti: natura, storia, arte, culture trapiantate. E anche materiali, concessioni geometriche, tradizioni, clima. E infine, liberatorio e vivificante, il sole.
Siamo di fronte, dunque, a una nuova filosofia dello spazio abitato. Il concetto, il significato, la funzione, l’idea della casa vengono riconsiderati partendo da elementi di giudizio e di analisi non tradizionali, ma originali. La proposta dei Vivai del Sud ha un preciso obiettivo: integrare l’esigenza primaria
dell’abitare con quella, non secondaria, di conoscere, riconoscere e accettare il proprio territorio.
Questo obiettivo non è troppo lontano. E neppure troppo ambizioso. In ogni caso, poiché non vale la pena di restare nel dubbio, la cosa migliore è una verifica personale. Gli esempi non mancano. Gli interventi dei Vivai del Sud riguardano esterni (architettura del verde per giardini privati, complessi, strutture, percorsi, ecc.), immobili (progettazione di ville, complessi urbanistici, ospedali, alberghi, ecc.), interni (ristrutturazioni, arredamenti, rivesti¬menti, mobili) e strutture particolari (gazebi, terrazzi, giardini d’inverno).
Il background professionale non potrebbe essere più rassicurante: lO anni di esperienza imprenditoriale, di ricer¬ca, di progettazione e di disegno industriale. Una esperienza raccolta e con¬solidale non solo in Italia e in Europa, ma anche in Africa, Arabia, America.
Per quanto riguarda l’arredamento, è il caso di sottolineare che i Vivai del Sud esportano o producono mobili in quasi tutti i Paesi del mondo (accordi particolarmente importanti sono stati raggiunti con grandi distributori in Francia, Germania, Svizzera, Stati Unit i).
E’ un successo significativo. Perché dimostra che, nonostante tutto, l’uomo sa ancora dare il giusto valore allo spazio abitato.

Il Liberty è di casa nostra

Posted by: admin / Posted on: 12 Gennaio 2010 / Category: Arredamenti & Suggerimenti d'Arredo

Liberty MedeaMedea Liberty

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La città storica

Posted by: admin / Posted on: 7 Gennaio 2010 / Category: Arredamenti & Suggerimenti d'Arredo

Il ragionamento è semplice: prendiamo il centro storico, individuiamo delle aree critiche e affidiamo a vari progettisti il compito di studiare interventi di recupero per ciascuna area. Che si tratti di un atto coraggioso non c’è dubbio. Ma è altrettanto fuor di dubbio che l’impegno assunto di recente dall’amministrazione comunale di Genova – ristrutturare la città storica suddividendo il lavoro tra sei progettisti (De Carlo, Belgiojoso, Fera, Grossi-Bianchi, Gardella, e Piano) – presta il fianco ad una critica fondamentale: come sarà possibile combinare letture prospettiche del passato metropolitano così distanti tra loro? Inutile, in ogni caso, formulare giudizi prima ancora che sia stato dato il via ai lavori di restauro. Meglio aspettare settembre (quando il Comune prenderà una decisione definitiva) e, nell’attesa, approfondire la conoscenza dei vari progetti. Prendiamo, per esempio, il caso del quartiere del Molo, un’area strategica rispetto al centro storico per la quale lo staff di Renzo Piano (il progettista del Centre Pompidou di Parigi, il famoso Beaubourg) ha già messo a punto un dettagliato piano di riconversione.
Un tratto distintivo del Molo è rappresentato dalla chiarezza dell’ impianto urbanistico. Una chiarezza dovuta al fatto che nel ‘200 il quartiere era stato programmato per assolvere una funzione precisa: quella di magazzino per le attività portuali della città. Grano, sale e altre merci venivano conservati in immensi edifici, veri e propri silos, che a distanza di secoli conservano intatto il loro fascino e la loro dinamica spaziale. “Proprio per questa sua struttura semplice e relativamente sana – osserva Renzo Piano – il Molo può funzionare da laboratorio in cui sperimentare un intervento tipico sull’antico che in seguito potrebbe essere attuato in contesti più difficili”. Il progetto si articola in tre momenti: 1) intervento a scala urbanistica (è la parte che si occupa del collegamento tra il quartiere e l’intero centro storico); 2) intervento a scala di quartiere (che punta sull’individuazione dei servizi e una diversa organizzazione della viabilità;
3) intervento su 4 isolati-pilota (attraverso cui simulare una rilettura in chiave operativa) .
Quest’ultimo aspetto, naturalmente, corrisponde alla fase più avanzata del progetto. n punto di partenza è costituito dal riciclaggio degli antichi impianti spaziali. E qui sorge l’interrogativo di fondo: com’è possibile per edifici alti 6-7 piani, privi di ascensori e con scale ripidissime, soddisfare le moderne esigenze residenziali? La proposta di Renzo Piano è stimolante: dotare gli isolati di un’attrezzatura di servizio che non comprometta la qualità dell’insieme spaziale. In altri termini si tratta di concentrare gli ascensori in un punto solo, esterno all’edificio, evitando l’intervento sul vano scale che chiuderebbe il cavedio interno, togliendo poi aria e luce. Inizialmente era prevista una sola fermata dell’ascensore (allivello del tetto) e il conseguente accesso “a pioggia” nella abitazioni; in un secondo tempo, tuttavia, il progetto è stato integrato dalla creazione di un passaggio intermedio, destinato a trasformare i percorsi interni in luoghi di sosta collettivi. Per cui, se è pur vero che all’alloggio si arriva scendendo o risalendo di un piano, è anche vero che la riconversione delle vecchie strutture evoca imprevisti scenari spaziali.
L’idea-chiave, insomma, è quella di valorizzare la zona alta. Spiega l’architetto Piano: “E assurdo collocare una scuola materna in fondo a un vicolo largo 3 metri e alto 26, dove non ci sono né aria né luce e regna l’umidità. Perché non trasferire certi servizi in alto? Pensate anche alla panoramica che si aprirebbe dai tetti verso il mare. Non sarebbe certo un problema difficile da risolvere: per creare una scuola materna che soddisfi le esigenze del quartiere basterebbe espropriare un paio di alloggi”. Ma c’è un altro aspetto interessante in questa rilettura dello studio Piano: l’invito a utilizzare gli antichi enormi contenitori per attività di carattere culturale. Un esempio? II magazzino del sale, con i suoi contrafforti destinati a sostenere poderose spinte laterali (a causa del progressivo asciugamento del sale) sarebbe facilmente adattabile, anche dal punto di vista dell’acustica, a luogo della musica, sia come auditorium che come museo. Intendendo, naturalmente, il termine museo nell’accezione tipica di Renzo Piano: cioè come luogo di produzione e insieme di apprendimento diretto, di conoscenza dei materiali; struttura partecipata piuttosto che luogo di mera consultazione. II tutto, peraltro, senza trascurare la rivitalizzazione del flusso commerciale. II problema, in questo caso, consiste nel riattrezzare con negozi il vico Malatti, la spina dorsale del Molo, che ha perso col tempo la sua funzione originaria anche a causa di una occlusione alla viabilità pedonale. Una riconversione senza dubbio plausibile se si considera che il pianoterra è occupato da numerosi magazzini (oggi per lo più vuoti o utilizzati come mini-garages, laboratori privati ecc.), la cui presenza era giustificata dal fiorire nell’intero quartiere di attività legate all’artigianato navale. Altro che ottica nostalgica. Come già per altre realtà urbane (Otranto e Burano), le proposte di Renzo Piano, lungi dal costituire un ripiegamento sul passato, puntano piuttosto sulla combinazione tra antico e nuovo. Ma soprattutto presentano un elevato grado di fattibilità. Il perché è semplice: la scelta degli isolati-campione non è dettata solo dall’esigenza di veder rappresentate situazioni fisiche diverse (contenitore, casa del 2-300 con tipologia classica, edificio restaurato dopo la guerra), ma anche situazioni proprietarie diverse (proprietà privata, divisa e indivisa; proprietà comunale e demaniale). Sicché, alla fine, emergono indicazioni orecise circa tempi e modalità con cui sciogliere i nodi giuridici che potrebbero frapporsi alla realizzazione dell’operazione di recupero.
Un’operazione che, almeno in prospettiva, si affida alla cooperazione tra pubblico e privato. Il Comune, in particolare, si farebbe carico di alcuni interventi di base (i collegamenti verticali, le passerelle, la scuola sul tetto ecc.) in modo da innescare un processo di ristrutturazione che dovrebbe successivamente essere gestito dai piccoli proprietari. Niente di coercitivo, in ogni caso. “Il progetto – spiega Alessandro Traldi, architetto dello staff Piano – è concepito come un cantiere diluito nel tempo, diciamo 15 o 20 anni. Nessuno obbliga il privato a seguire una direzione prefissata. Semplicemente noi diciamo: dal momento che ti vuoi muovere, sappi che il Comune ti aiuta per una certa quota e sarebbe opportuno che le trasformazioni, di volta in volta, si uniformassero ad uno stesso parametro”. Un modo di memorizzare senza per questo ricorrere al congelamento della città del passato. Sul centro storico – in fondo è questa la lezione di Renzo Piano – si può intervenire solo a patto che si riprogettino i sistemi (e a volte persino gli attrezzi) di intervento. L’organizzazione tradizionale è assolutamente sproporzionata rispetto alla complessa realtà, fisica e strutturale, dei centri antichi; quel che occorre è un meccanismo più flessibile, leggero, capace di risolvere il caso per caso senza far violenza al tessuto storico, ma soprattutto capace di interpretare le mutevoli esigenze dei veri protagonisti del progetto di risanamento: gli abitanti del quartiere.

Plaza Hotel

Posted by: admin / Posted on: 7 Gennaio 2010 / Category: Arredamenti & Suggerimenti d'Arredo

hotel saracino arreda

Talvolta, catapultati da un luogo all’altro, ci troviamo immersi in una realtà che solo pochi istanti prima ci era sconosciuta. Una città nuova apre le sue braccia per accoglierci, ma non sempre il nostro corpo è disposto ad inoltrarsi in questa nuova dimensione. Ci spostiamo nell’immobilità del luogo alla ricerca di sensazioni confortanti nella ricerca di una sistemazione talvolta breve, appunto anche di pochi attimi, per non soggiacere e non soffocare. E nel luogo le cose, le macchine, la gente e gli animali creano un tunnel animato nel quale una parte dell’io riesce a contenere l’angoscia dell’isolamento, dell’ estraneità. Ci inventiamo una calda coltre, un tetto: la protezione. Rivediamo fotografato l’attimo della nostra presenza in una sequenza di colori in una singolare “non conoscenza” e scopriamo la nuova dimensione di stranieri, ormai protetti.
Ripensiamo al percorso, alla distanza e il cammino lasciato alle spalle diviene certezza di un passato ormai entrato nella nostra mente come conoscenza, come nostro sapere. Le strade, i monumenti hanno lasciato nel solco della memoria la traccia e sono divenuti parte del sapere.
Probabilmente non cancelleremo più nulla, probabilmente diventeranno anch’essi confronti di dialoghi nel divenire. La nuova città è nostra, forse solo per una notte, forse per un tempo interminabile, ma in questi giorni andremo ancora cercando esperienze nel nostro instancabile cammino. Anche le parole, sottofondo ai pensieri, come musica daranno forza e sottolineeranno le azioni: confortevoli accarezzanti protezioni in alcuni disagevoli momenti. Sentirsi fuori o dentro le città non ha logiche spiegazioni dipende dal colore, dal nostro corpo, dal nostro sapere. Ci ritroviamo forse su una chilometrica scalamobìle, sulla cima di un grattacielo o nella nostra stanza d’albergo. Un albergo che può esserci amico a Vienna, a Tunisi o a NewYork.
Possiamo vedere nella nostra stanza l’altro capo del mondo simile a casa nostra.
Dipende, forse dalla sensibilità di un proprietario di origine scozzese, italiana, greca, indonesiana o cinese. Dalla razionalità di uno stile. Il gusto dei mobili ci avvolgerà nell’abisso di secoli passati, sprofonderemo sulla poltrona di stile Luigi XV o apriremo le antine di una scivania inglese del xvrn secolo per scovarne il segreto.Il letto assorbirà inquieti sogni. Talvolta ci accorgeremo di non essere mai arrivati in nessun luogo, di non esserci allontanati dalla nostra città. Muoversi nello spazio nuovo sciogliere la forza dei pensieri in dimensioni differenti e toccare gli oggetti, i quadri, le cose qualche volta ci sembrerà naturale. Paragonabile,verificabile confronto di futili cose. Dipende. L’Hotel Plaza fu completato il 10 ottobre 1907 e fu finanziato da John Gates soprannominato “John scommetti-un-milione”) speculatore, giocatore d’azzardo, e re del filo spinato. Nacque dai sogni di Ben Beinech e Harry Black. Fu progettato dall’architetto Henzy J. Hardenbergh sullo stile di un “Chateau Francese” e arredato da E.F. Pooley con mobili in stile Luigi XlV e Luigi XVI. Lo stesso architetto che progettò il Waldorf Astoria di New York, che si affaccia sul Centrai Park e che fu residenza privata di Guggenheim, collezionista d’arte, e di sua moglie.

Il focolare polacco

Posted by: admin / Posted on: 5 Gennaio 2010 / Category: Arredamenti & Suggerimenti d'Arredo

Focolare domestico

Il crepitio della legna che brucia, il vorticare dei lapìllì verso l’alto spinti dal rovente alito delle lingue multicolori e lampeggianti di un fuoco attizzato, fanno il contenuto vivo, cangiante e multiforme di un quadro che ha per cornice, solitamente nelle fredde giornate d’inverno, la tiepida struttura di un caminetto. Attirati prima dal calore e poi ipnotizzati dal gioco di immagini astratte poiettate dalla nostra fantasia su quella tela abbagliante tesa ai quattro lati, vi ci stringiamo attorno cercando di carpire l’energia che trasmette al nostro corpo e alla nostra mente, e non vorremmo allora che quel gioco si estinguesse mai, per non sentire la sua assenza più forte di prima. Là dove l’inverno è più lungo, dove il giorno non ha che breve durata, dove la natura fuori dalle riparate mura di una dimora si mostra inospitale all’uomo per parecchi mesi all’ anno, il culto del focolare assurge ad un’importanza primaria. Nei paesi del nord Europa, come ancora nei paesi di alcune nostre zone alpine, alla stufa o al caminetto è riservata una posizione di fulcro: troneggia nell’ambiente principale dell’abitazione, concentrando nel suo spazio circostante le attività della famiglia di giorno, e offrendo di notte, secondo la sua architettura, un caldo ricovero. Simbolo ovunque e da sempre del palpitante cuore di una casa. Ha spesso alimentato singolari tradizioni che l’hanno accompagnato nel tempo e caratterizzato nelle regioni. Si distinguono tra queste alcune particolari usanze ancora praticate in certi villaggi meridionali della Polonia, dove l’edilizia rurale conserva tuttora la sua antica caratteristica architettura in legno. Le case qui appaiono fantasiosamente decorate sia esternamente che internamente da vivaci polìcromìe a motivi vegetali e geometrici che via via si compongono con più ricchezza nella stanza centrale dell’abitazione attorno alla stufa. Dedite al rinnovamento di questa tradizione pittorica sono le donne della casa, che ogni anno in occasione della Pasqua rinfrescano tali decorazioni con tinte ad acqua preparate da loro stesse. Lo stile che ne risulta diffonde un gradevole effetto naif che va’ in armonia col peculiare contesto ambientale in cui ci si trova avvolti. Lo stesso tipo di decorazioni a banda tracciate sulle pareti sono quelle chevediamo poi ripetute con altrettanta cura anche sulle uova, che vengono adornate invece secondo la tecnica a ”batick” (con cera sciolta e immerse poi in coloranti diversi) .
Il significato e la forma di diverse usanze come queste praticate attorno “al fuoco” dai popoli slavi vanno ricercati nei residui dei lontani riti pagani, che rifluirono poi in epoca posteriore nella cultura cristiana perdendo il loro primitivo senso magico. Un’ulteriore espressione popolare dedicata ancora alla decorazione del focolare domestico in Polonia la ritroviamo nella consuetudine di ritagliare variopinti merletti di carta chiamati “wycinanki”, dei quali se ne elaborano due versioni: una monocolore con forma circolare, stellare o quadrata caratterizzata da un motivo più che altro grafico, ottenuto col tagliuzzare un foglio di carta lucida più volte ripiegato su se stesso, e l’altra policroma dal carattere più pittorico costituita da un variegato collage di ritagli diversi. Anche il paziente intaglio del legno, praticato durante i giorni di festa in questo Paese davanti al fuoco, è una delle attività consacrate alla sua presenza; i manufatti sono quasi sempre suppellettili utili alla vita domestica, ma qualche volta riproducono anche grezze immagini di santi che trovano collocazione nelle cappellette e nelle santele ai crocicchi di campagna. A vegliare invece sulla ovattata e dorata atmosfera del focolare sono i santi delle numerose icone poste sopra o di fianco al camino o alla stufa. Vengono schierati secondo un ordine estetico quasi sempre su un’unica parete, manifestando esplicitamente nell’interesse per la loro dìsposìzìone una certa fusione tra convinto spirito reli..sioso e puro gusto decorativo. Questo genere di pittura ormai storica, commerciata tutt’ ora nelle sagre di campagna, è ispirata ai modelli dell’arte ecclesiastica, reinterpretati dagli artisti popolari in modo creativo e originale.
Può essere su carta, tela o vetro, ed è caratterizzata da macchie di colore audaci nelle tinte sgargianti. I contorni netti e scuri vediamo che contribuiscono ad appiattire l’immagine e l’attenzione per il particolare realistico si compiace nell’esecuzione dei dettagli. Riusciamo però a rilevare infine il sottile filo di ambiguità che si dipana nel legame di queste immagini che orbitano attorno all'” elemento principale”, una volta unica e temuta divinità; sacro e profano si fondono al di sopra della sfera di ogni nostra consapevolezza.

Soffitti a cassettoni

Posted by: admin / Posted on: 16 Dicembre 2009 / Category: Arredamenti & Suggerimenti d'Arredo

La casa delle vacanze rispecchia quasi sempre il bisogno di ognuno di vivere, almeno per brevi periodi, a stretto contatto con la natura e in un ambiente che favorisca lo sfruttamento del tempo libero, in al¬ternativa alla vita, non sempre facile, nella città.
Ne offre un tipico esempio la bella ed importante casa presentata in questo servizio dove appare evidente che oltre ad avere la funzione di luogo ricreativo e di confortevole relax è stata realizzata anche per essere una casa di rappresentanza, spesso aperta ad ospitare amici e parenti per trascorrere serene e divertenti giornate in compagnia, sulla neve ..
Al grande soggiorno che si articola in varie zone separate, ma armoniche fra loro, in cui si distinguono la zona eranzo, l’angolo conversazione e la zona camino, è stata affiancata una tavernetta, utilizzata anche come sala da gioco. Qui, la vivacità dei co¬lori verde e rosso, che costituiscono il leitmotiv dell’arredo di questo locale, tipicamente rustico, contrastano con la scura tonalità del legno che riveste le pareti e con la travatura del soffitto.
Saracino Arreda Tetto
In altri punti della casa, invece, il soffitto è realizzato da una particolare copertura in legno, più propriamente chiamata “a cassettoni” che costituisce una delle carat¬teristiche più gustose e interessanti dell’ar¬chitettura interna di questa bella abitazio¬ne.
Dai particolari di questi splendidi soffitti, che possiamo ammirare nelle foto del servizio, notiamo che sono realizzati in legno di noce, decorato da eleganti ricami intagliati che riprendono gli antichi motivi tipici della zona. La tradizione dei soffitti a cassettoni è infatti molto antica e risale a molti secoli fa. Strettamente legato alla cultura delle valli alpine questo tipo di soffitto vive ancor oggi in questi luoghi come preziosa testimonianza di una delle più belle espressioni dell’artigianato locale. Un tipo tra i più diffusi e completi è il cassettone che prevede una struttura a carpenteria, formata dalle travi portanti e da travetti a cavallo di quelle, e una finitura decorativa: il fondo dei cassettoni è fissato alle travi, mentre i fianchi e le cornici sono fissati direttamente a travetti o mediante correntini lineari o attraverso pezzi speciali.

Il mobile dipinto

Posted by: admin / Posted on: 16 Dicembre 2009 / Category: Arredamenti & Suggerimenti d'Arredo

Mobilie dipinto

Il mobile dipinto nasce e si sviluppa senza dubbio come elemento decorativo e scenografico dell’ambiente in cui verrà inserito, quasi in contrapposizione ad un’architettura esterna che, per quanto imponente, è solitamente caratterizzata da una dignitosa e del tutto sobria semplicità.
Ciò che stimola di più in questi pezzi è la continua ripetizione sempre diversa delle decorazioni ed i colori, caldi ed affascinanti, ottenuti a tempera su legni dolci al pari dell’abete o del pioppo. Quest’ arte di abbellire e decorare gli oggetti dipingendoli prese pie” de più o meno lungo tutta la Penisola, se si pensa che sia in Friuli, dove troviamo una produzione vastissima e di notevole qualità architettonica e pittorica, sia in Sicilia possiamo reperire mobili in tal guisa.
Nonostante questi mobili siano di fattura artigianale, e perciò semplici nella loro struttura, il loro pregio fondamentale risiede nella spontaneità e nella immediatezza dei motivi stilistici adoperati, che li rendono visivamente molto gradevoli per la loro genuinità d’espressione; per i loro colori e motivi, a volte dal sapore un poco ingenuo, li prediligiamo oggigiorno come componenti da arredamento in quanto piacevoli e facilmente collocabili.
Rare eccezioni di gusto più raffinato e particolare sono date da quegli esemplari in cui ad una decorazione a motivi puramente ornamentali si sostituisce una vera e propria ricerca in campo pittorico. E noto infatti che a volte alcuni dei disegni riprodotti sui mobili derivano direttamente dai cartoni di pittori di alto valore.
Il senso del colore, il gusto della decorazione si inseriscono e si sovrappongono a strutture general¬mente lineari, caratterizzate appena da ondulazioni e movimenti verticali, accentuati dal disegno, strutture che comunque ‘non avranno mai le curve e controcurve quasi plastiche del mobile laccato veneziano del ‘700 .
La conferma dell’assoluta originalità ed autonomia del mobile dipinto rispetto a quello laccato veneziano sta precisamente nella differenza della tecnica usata, assai più semplice di quelle applicazioni di gessi, lacche e vernici a sandracca, ma dai risultati ugualmente suggestivi ed avvincenti. Per quanto riguarda la tecnica vera e propria usata per la decorazione dei mobili dipinti, ricordiamo che venivano usati principalmente tre metodi. Il primo consisteva nella stesura del colore a tempera su di un fondo di legno dolce ben levigato, strato di gesso caolino legato con colla organica; altro metodo, anche se poco usato e di cui abbiamo pochissimi esempi, è quello della coloritura all’ encausto, cioè un composto di olio, acquaragia e cera miscelati con polvere di zinco e colori vari, che si stendeva direttamente sul legno; il terzo procedimento, da alcuni chiamato a tempera grassa, consisteva nell’uso di olio di lino cotto associato a bianco di zinco e polvere di vari colori, che pure veniva steso direttamente sul legno senza alcuna preparazione.
Parlando del mobile dipinto non possiamo esimerci dal fare un breve accenno all’ espressione forse più conosciuta di quest’ arte anche perché senz’ altro visivamente la più evidente: la cassapanca. Le più’ conosciute sono senza dubbio quelle marchigiane, anche se ne troviamo di altrettanto belle ed importanti nel Friuli; anzi possiamo dire che molte volte gli stessi esperti possono trovarsi in imbarazzo nel determinarne la provenienza.
Le cassapanche derivano con ogni probabilità dai cassoni del XV e XVI secolo e si possono facilmente catalogare nel periodo che va dalla metà del XVII alla fine del XVIII secolo.
Questo tipo di mobile dimostra in maniera evidente la fantasia creativa ed il gusto scenografico tipico della regione marchigiana e ci mostrano l’espressione più alta del mobile creato esclusivamente a scopo ornamentale.
Il più delle volte, per non dire nel¬la totalità dei casi, venivano co¬struite per essere disposte negli ingressi o nei grandi saloni cen¬trali che fungevano da ingresso, a coppie o in misure diverse. Nelle cassapanche troviamo il più delle volte le stesse ricerche decorative o simili motivi architettonici che fungevano da cornice a stemmi di famiglia o famiglie a seconda che venissero eseguite in occasione di matrimoni.
Troviamo infatti spesso sugli schienali stemmi accoppiati di fa¬miglie che con le nozze si erano unite.
Le cassapanche barocche marchigiane, a differenza di quelle friulane, non hanno quasi mai schienali molto alti o appesantiti da troppo ricche cimase, ma anzi hanno dorsali sagomati e molto allungati ed ogni esemplare ci mostra una sua ben precisa tipo¬logia.
Ne troviamo di piccole note come panchette, o di molto grandi uti¬lizzate al posto dei cassoni. Possiamo in ogni caso affermare che le cassapanche sono senza dubbio la migliore testimonianza del mobìle dipinto marchigiano.

Le cartoline d’auguri

Posted by: admin / Posted on: 16 Dicembre 2009 / Category: Arredamenti & Suggerimenti d'Arredo

Fino a qualche anno fa, sotto le Feste, il più bel regalo per i precari nel compartimento postale di Napoli veniva dai colleghi romani: questi inviavano loro sacchi di posta che non riuscivano a smistare. Spenta la fiammata degli auguri, i napoletani tornavano alle loro varie attività di disoccupati. L’inesorabile scatto delle tariffe ha oggi trasformato anche i meno occulturati in critici della cartolina come veicoli del luogo comune; la pigrizia trova poi giustificazione nei tuttologi che regalano i rituali della nostra infanzia tra lo stupidario e la «cultura repressiva». Le cartoline augurali sono quindi sparite. Ogni epoca ha i propri luoghi comuni e i propri rituali; rispetto a quelli d’oggi, che coniugano semantica e terrorismo culturale, quelli di ieri ci paiono più rassicuranti, proprio perché ci si presentano per ciò che sono. E d’altra parte è un test tanto più severo quello che ci confronta con generi così codificati da render quasi impossibile ogni reazione non pavlovìana,
Uno sguardo buttato su una collezione di cartoline d’auguri dell’inizio secolo ci rivela come tanti illustratori, sovente anonimi o comunque sconosciuti, sono fuggiti al risultato mediocre, del rituale e dell’iconografia. Sarebbe d’altronde inutile attenderci personali e libere interpretazioni in oggettini il cui senso, più che nell’ espressione di un artista creatore, sta nella produzione, tra artigianale e industriale, per un mercato tuttavia più esigente di quel che si crede. La stampa litografica anche a 10 colori e più, la stampa a rilievo, le argentature e dorature trasformano certi pezzi in veri gioielli di cartotecnica, oggi irripetibili per costi; ma già allora queste cartoline, veri oggetti da regalo, erano ben più care della media. La produzione corrente è più popolare, per quel che
poteva esserlo un prodotto destinato sino alla prima guerra mondiale alla sola borghesia.
Qui l’imperizia grafica e la povertà di stampa si fondono con la più ingenua accettazione dei luoghi comuni per produrre a volte risultati che agli occhi di un Elouard son potuti sembrare pagliuzze d’oro in un mare di sterco (< Proprio in questo tipo di cartoline, Dalì, invece di apprezzare i pochi fruibili pezzi, anche da un intellettuale snob, esaltava «la più evoluta gerarchia del pensiero popolare» (II mito tragico dell’ Angelus di Millet); «un pensiero tanto profondo e così acuto da sfuggire alla psicoanalisi» (Posizione morale del surrealìsrno).
Più rare sono le cartoline che prendono il tema come puro spunto per ricerche personali e svolte sotto il segno di una corrente artistica alla moda. Passando poi alle piccole edizioni destinate a circolare entro la cerchia ristretta di un gruppo, o arrivando ai pezzi fatti a mano per gli amici, possiamo imbatterci in libere e anche dissacranti innovazioni in fatto di
iconografia.
Riportare oggi l’attenzione su un genere datato, e trionfante nel primo ‘900 può quindi esulare sia dalle nostalgie retro che dagli snobismi popolar-Kitsch. Rinunciando alle cartoline augurali non ci preserviamo affatto dalla banalità: tornando a praticarle, in modo inevitabilmente incerto, incauto, improprio dopo anni di disaffezione, rischiamo invece di aprir qualche spaccatura nella crosta di uno dei luoghi comuni più duri a morire: la cartolina come supporto di immagini stereotipe su un lato e di convenevoli sull’ altro.
Auguri.

Gli anni di plastica

Posted by: admin / Posted on: 16 Dicembre 2009 / Category: Arredamenti & Suggerimenti d'Arredo

Il fascino delle vecchie plastiche è forse dovuto al mistero
e all’anonimato che in fondo hanno sempre circondato questi materiali.
In passato si è spesso usato il termine “plastica’ in modo alquanto generico.
Siano esse resine semi-sintetiche o interamente prodotte in laboratorio le plastiche sono sempre state considerate come tutte uguali. In realtà, a tutt oggi se ne conoscono più di 60 differenti tipi. ma la scarsità di documentazione relativa alle più antiche dimostra come esse non siano sempre state tenute nella giusta considerazione.
Dire di un oggetto che è
“di plastica ha spesso significato un’accezione negativa della qualità dell oggetto stesso.
La ragione di tale atteggiamento va forse ricercata nelle prime applicazioni di questi materiali. Nella seconda metà del secolo scorso venne a scarseggiare
in modo sempre più evidente, tutta una serie di sostanze naturali quali la tartaruga I avorio
l’ambra, il como.
Fu a questo punto che nacquero dei materiali che dovevano sostiturie sempre più quelle sostanze il cui costo era vieppiù aumentato.
Alexander Parkes presentò nel 1862 a1llntemational Exhibition di Londra e nel 1867 aIl’Exposition Universelle de Parìs, una serie di oggetti in ‘Parkesina ‘. Si trattava di una resina semisintetica che ricordava I avorio ed il como. Fu un grande succeso che gli valse in ambedue le occasioni una medaglia. In seguito, Parkes non si limitò solo ad imitare altri materiali
ma riuscì anche ad ottenere degli oggetti nei colori più svariati.
Nel 1863, negli Stati Uniti fu offerto un premio a chiunque fosse riuscito a sviluppare un materiale sostitutivo per la fabbricazione di palle da biliardo, poiché l’avorio stava venendo a mancare. John Hyatt americano non vinse il premio, ma nel 1869 brevettò la ‘Celluloide’ , una sostanza semi-sintetica derivante dalla cellulosa che presentava interessanti possibilità di lavorazione.
Era possibìle ridurla in fogli e stamparla, e di conseguenza si prestava a rivestimenti di altre superfici quali il legno . La gamma di colori e di sfumature era molto vasta dal bianco più puro al nero più intenso.
Poteva imitare l’avorio quanto la tartaruga. L inserimento di pigmenti metallici permetteva inoltre di ottenere degli effetti iridescenti simili alla madreperla. Nel 1899, in Germania
A. Spitteler e W. Krische depositarono la “Galalite” o pietra di latte. Pochi anni dopo nasceva in Inghilterra I Erinoìde.
Saracino Arreda: Plastica
Si trattava in ambedue i casi di caseina che indurita con l’aggiunta di formaldeide raggiungeva un buon livello di imitazione della tartaruga e del como.Attraverso ulteriori lavorazioni fu impensabile se non a costi elevatissimi.
La storia delle vecchie plastiche non finisce certo qui.
Molteplici materiali furono sviluppati nel corso di anni di studio e di ricerca, quali il Collodion, la gomma sintetica, la Urea e la Rodonite, molto applicata negli anni ‘SO per la fabbricazione di borse.
Se è quindi vero che la scarsità di sostanze naturali fu all’origine della nascita delle plastiche,
è però anche vero che queste non possono essere considerate esclusivamente come sostituti di materiali più preziosi.
Le successive scoperte di nuove sostanze chimiche hanno permesso all’industria di ottenere dei risultati altrimenti irraggiungibili con altri mezzi conferendo piena autonomia all’oggetto di plastica di oggi come a quello del passato.

Ormai diverse istituzioni, particolarmente in Inghilterra e negli Stati Uniti, hanno raccolto e continuato a raccogliere vecchi oggetti in plastica, organizzando delle esposizioni permanenti. Nella prefazione del catalogo della mostra “Plastics Antiques” presentata a Londra nel 1977,
vi è una frase di Roger Newport del Wolverhampton Polytechnic che invita a considerare re vecchie plastiche con altri occhi e rivalutarne la loro importanza;
” … poiché corriamo il rischio di smarrire un patrimonio di fascino e di valore … “.
possibile ottenere ampie gamme di colori nonché sfumature madreperlacee.
Nel 1907 il Dr. Leo Baekeland depositò la prima resina totalmente sintetica alla quale mise il nome di “Bakelìte” .
Alla sostanza originale veniva aggiunto a seconda dei casi, polvere di legno, di mica o altre sostanze rinforzanti che ne rendevano possibile lo stampaggio. Gli oggetti otten uti erano però sempre e solo di colore scuro, prevalentemente neri o marroni.
Ulteriori ricerche chimiche permisero, a partire dal 1920,
di ottenere diverse colorazioni dal rosa al verde giada con possibilità di molteplici sfumature. Molti dei pezzi realizzati in questo materiale hanno subito negli anni alterazioni di colore . Tale
trasformazione conferisce loro una patina di antico che li rende più preziosi.
Le forme degli oggetti si ottenevano per colata e tutte le rifiniture, nonché le eventuali incisioni decorative, dovevano essere eseguite a mano.

Saracino Arreda: L’ARTE ‘PRECOLOMBIANA’

Posted by: admin / Posted on: 16 Dicembre 2009 / Category: Arredamenti & Suggerimenti d'Arredo

Più ci si addentra nello studio delle espressioni artistiche dei popoli cosiddetti primitivi e delle Culture Precolombiane, e più ci si rende conto di quanto i “rnoderni” creino, pensando siano innovazioni forme e tecniche che in realtà non sono che riscoperte.
La prima cosa che colpisce è l’originalità, la fantasia, i ritmi del decoro e dei colori di incredibile gusto le squisite armonie chiaroscurali talvolta interrotte da andamenti lineari, gli accostamenti e successioni cromatiche. Questo per quanto riguarda l’estetica.
Se si prende una lente di ingrandimento per osservare le trame dei filati, subito
si rimane sorpresi dell’alta qualità tessile nonostante il telaio semplificato, su cui si crearono lavori con grande varietà di intreccio rimasta invariata in molte armature utilizzate nella tessitura modema.
Infatti gli antichi Peruviani possedevano una grande abilità tecnica nella filatura e torsione, costante e regolare, di grande finezza e senza difetti.
I temi decorativi hanno in generale un’accentuata stilizzazione geomerica dovuta al loro raffinato gusto, per quella precisa conoscenza delle forme da raffigurare che consentiva di rappresentarli in una nitida sintesi dove i soggetti sono composti e scomposti in linee schematiche, oppure con complessi elementi cromatici e chiaroscurali, ma sempre con un preciso senso delle forme e con estrema chiarezza del disegno.
C’è comunque da considerare che questa sintesi espressa nel decoro, fu sì un tipico tratto culturale ma nell’arte tessile fu in un certo senso imposta dagli strumenti impiegati che, se si esclude il ricamo, nell’arazzo e nelle stampe, limitavano la tessitura entro certi schemi.
Osservando un tessuto questi elementi si fondono tra loro creando una fisionomia ben determinata con un preciso significato.
La decorazione dei tessuti può essere figurativa o geometrica, quella figurativa è espressa attraverso disegni e immagini connesse al mondo naturale e alla religione. In quest’ultimo caso il tessuto assume un significato divino con un preciso valore simbolico attraverso cui sono trasmessi i concetti e le tradizioni che devono sopravvivere, essere tramandati e così unificare. Questo aspetto fu in un certo senso “esasperato” nell’Impero Inca, dove il tessuto in tutte le sue forme ed usi aveva una estrema importanza nel mantenimento dei valori tradizionali, tanto che nel XVI secolo gli Spagnoli ne vietarono l’uso e la fattura. In tale contesto il tessuto era il dono per eccellenza, la merce privilegiata attraverso cui si creavano e rinforzavano vincoli di alleanza e solidarietà tra gli individui, i clan, le classi e le differenti etnie, oltre che avere altri aspetti: pratici e decorativi, di non minore importanza.

Saracino Arreda: quando l’oggetto crea l’ambiente

Posted by: admin / Posted on: 15 Dicembre 2009 / Category: Arredamenti & Suggerimenti d'Arredo

Saracino Arreda: Taverna

Questa tavernetta dal fascino discreto ed accogliente dà il massimo rilievo all’oggetto cercato e voluto in quanto espressione di valori d’arte e tradizione che si sentono sempre validi.
Con la sua essenziale e massiccia forma geometrica, ci dà il benvenuto l’imponente torchio per uva, lo protremmo quasi parago¬nare ad una vigorosa scultura.
Alle sue spalle ci sorprende il sorriso enigmatico di un mascherone in pietra che fa parte di una fontana del XIX secolo.
Il pavimento in lastre di pietra serena di una delicata tonalità neutra, le pareti e i soffit¬ti strollati a mano ad intonaco bianco, dan¬no il massimo risalto alla grande composizione murale che spicca sulla parete.
Si tratta di un “mosaico” interpretato in chiave attuale. Parte integrante di questa composizione a mosaico, è una struttura costruita su tre elementi che si armonizzano perfettamente: alla base è una colonna romana sopra la quale poggia i capitello d’epoca più tarda, probabilmente romanico, il quale termina con un pregevole lavoro in ferro battuto dell’ottocento.
Particolarmente adatto a rustiche cene, ecco un imponente “fratino” con attorno scanni e comode panche.
Il leone, ben visibile nella foto, è una splendida scultura d’epoca medievale: è scolpito in una pietra lavica piuttosto friabile per cui le sue forme, attraverso i secoli, si sono ammorbidite e sfumate, portandolo ad as omigliare al volutamente “non finito” di una scultura moderna.
Nella foto uccessiva notiamo un bel primo piano del secentesco portone d’entrata e dei due angoli portaceri in legno policromo, poggianti su men ole in pietra. Allegra e decorativa, la collezione di stampi per budini in rame, è appesa ad una grata in ferro battuto.
L’illuminazione è risolta con faretti ad incande cenza che danno una luminosità più calda dei faretti alogeni.

Leggere il Giardino

Posted by: admin / Posted on: 15 Dicembre 2009 / Category: Arredamenti & Suggerimenti d'Arredo

Saracino Arreda giardino

Riflessione
La possibilità che l’uomo ha di scindere nella riflessione la natura circostante crea il grande sforzo di razionalizzazione dei processi naturali che lo accompagnano durante il percorso della sua vita. Un ramo che si muove lo accomuna al braccio che fende l’aria, le onde e i gorghi richiamano i capelli che fluttuosi scendono sulle spalle e, quando il fiore, giunto ormai al suo estremo schiudersi si lascia togliere ad uno ad uno i suoi petali, è simile a vuoti momenti in cui il passato sfuma e il futuro diviene inesistenza .
Attraverso un processo naturale il percorso è danza e lo spazio spirito che trae la linfa vitale dall’essenza della terra; dal mondo degli antenati, tra meandri della vita, nel passaggio natura/corpo matemo, in quella sintesi che lo lega all’universo. Firmamento/terra.
In questa identificazione, la contemplazione si armonizza sottilmente con la natura e i suoi ritmi colgono il privilegio di condizione paradisiaca nello stretto rapporto in cui il tempo antico lega e sublima il nostro spirito ai padri.
Nella vita in cui la travagliata ricerca ci guida per sentieri complicati, incerti, perplessi è come essere dinnanzi alla scelta della via nel bosco o ai percorsi disegnati del giardino. Nel giardino la nostra immaginazione ne stabilisce la crescita, e la verticale proiezione (per innalzarsi) .
Nel giardino i filari, il disegno geometrico e gli spazi assumono la dimensione di un ragionamento; l’accento o l’apostrofo posti tra una o l’altra parola, tra il senso e il pensiero (l’analisi dell’accaduto).
E quando la stagione precede cicliche ripetizioni è già crescita è già attesa del suo prossimo morire.
Spazi come respiri.

Conoscenza umana è la natura stessa, da essa derivano tutte le sensazioni pervenute alla nostra coscienza e alla realtà che ci circonda (ciò anche indipendentemente dal nostro volere) .
Per disegnare il giardino è necessario conoscere la materia, il clima il terreno in cui noi come natura siamo venuti alla luce.
E la nostra nascita e le nostre azioni nel giardino, vivono equilibratamente (scenogra!ia e recita nel teatro della vita) .
E i sensi, che avvertono le forme, il colore e l’odore ci legano all’emozione delle conoscenze.
un fiore accentuerà la linea sinuosa di un prato, il colore colmerà un attimo grigio di un autunno e le linee verranno descritte, spaziate, alternate a verdi e irti cespugli. Lo sguardo riveleverà archi e fioriture e l’occhio avrà il grande privilegio di spazìare e rimandare l’immagine alla mente; nel gioco di richiamo tra riflessione, tra l’esterno e U solco più profondo dell’io la creazione vivrà le tensioni e le contraddizioni (razionale composizione e irrazionale sviluppo, crescita deUa natura stessa) .
L’albero supererà il punto in cui il pensiero avrà progettato il suo prolungamento, diventerà radice e profumo nella traccia del tempo. Risultato e composizione dei sensi.
Nel guardare la terra nell’immaginarne il disegno, l’ordine imposto e il suo divenire c’è anche l’attesa dello scoprire tra i solchi il nascere del frutto
– risultato finale – compimento dell’opera.
llGiardino
Apparentemente immobile. Pensiero e proiezione dell’ideale. Disegno dell’uomo e dipinto che la natura, in contrapposizione, varia e colora.

Saracino Arreda: l’Archeologia industriale

Posted by: admin / Posted on: 15 Dicembre 2009 / Category: Arredamenti & Suggerimenti d'Arredo

Quale destino per i numerosissimi edifici industriali ormai alienati dalle loro funzioni produttive?
Si riapre con il riuso dei manufatti industriali un capitolo ormai ricco di esperienze quello sul riutilizzo dell’edificato, la cui convergenza socio-culturale e in molti casi anche economica, risulta ormai acquisita. Il riuso ha assunto
infatti significati sempre più ampi e differenziati nell’applicazione all’architettura monumentale, alla residenza urbana e rurale, fino ad interessare oggi l’architettura industriale che l’Archeologia Industriale ha avuto il merito di far riscoprire, dandogli dignità tale da rendeme interessante il recupero.
Saracino Arreda Archeologia industriale
L’edificio industriale è stato pensato fino dalla sua prima fase di progetto per un “rìuso” anche se in rapporto alle modificazioni del processo produttivo, in molti casi si presenta così come un contenitore con fattezze indifferenziate rispetto a diversissime situazioni produttive. E forse per questo che spesso si è verificato un riuso spontaneo degli edifici produttivi (si pensi alle piccole filande o ai mulini all’interno del tessuto urbano trasformati in abitazioni), ma si sono verificate anche situazioni più consistenti, che hanno teso a un riassorbimento delle strutture produttive obsolescenti nella dinamica dei bisogni attuali, rappresentando in molti casi all’interno del centro abitato un potenziale di spazio disponibile a risoluzione di servizi carenti sia a livello comunale che sovracomunale.
Le numerose situazioni in atto di cui citiamo alcuni esempi, dimostrano che ormai l’interesse per gli edifici produttivi non è episodico ed è già possibile trarre delle considerazioni su queste esperienze ormai delineate.

55 anni di successi

Posted by: admin / Posted on: 27 Novembre 2009 / Category: Arredamenti & Suggerimenti d'Arredo

Saracino Arreda da 55 anni

Tecniche realizzazioni arredamenti: L’Imbottitura e la Tappezzeria

Posted by: admin / Posted on: 27 Novembre 2009 / Category: Arredamenti & Suggerimenti d'Arredo

Imbottitura e Tappezzeria: con questi termini definiamo le lavorazioni che i nostri tappezzieri compiono per imbottire le sedute delle sedie o per rivestire alcuni particolari interni dei nostri mobili, funzioni di riempimento ai fini della comodità o pura funzione estetica decorativa. Anche in questo caso riprendiamo una tradizione propria dei maestri tappezzieri che sancirono un epoca d’oro di attività: ricordiamo che nel ‘700 i maggiori centri dell’imbottitura furono Venezia e Parigi.
Fregi, maniglieria e flrramenta: i fregi, categoria nella quale vogliamo inserire tutti i decori metallici con funzioni estetiche presenti nei nostri mobili, sono fedeli riproduzioni d’epoca in bronzo ottenuti tramite fusione in stampi di terracotta. La maniglieria assolve un doppio compito: funzione estetica e funzione pratica. Anche questi particolari metallici sono realizzati con cura e lavorazione artigianale. Per quel che concerne la ferramenta dei nostri mobili abbiamo sempre cercato di aggiungere funzionalità al prodotto tramite l’utilizzo di prodotti (chiodi, cerniere, etc.) conformi allo stile adottato.

Tecniche realizzazioni arredamenti: La Verniciatura e la Lucidatura

Posted by: admin / Posted on: 27 Novembre 2009 / Category: Arredamenti & Suggerimenti d'Arredo

Verniciatura e Lucidatura : la tecnica utilizzata per la finitura del legno risulta fedele ai dettami classici della lavorazione del mobile in stile.
a) La prima fase è quella di preparazione del mobile grezzo: la levigatura dello stesso, la stuccarura e il rovinio manuale.
b) Viene poi fissato tramite vernice il grezzo del mobile in modo diverso nella parte interna e nella parte sterna, distinguendo i vani che hanno funzione di utilità dalle parti esterne che hanno una funzione estetica.
c) Abbiamo quindi il primo invecchiamento delle fibre del legno tramite un composto naturale formato da ossidi di terre portate all’ebollizione che una volta assorbito dal legno viene carteggiato e poi bloccato con fissante.
d) Passiamo quindi alla fase vera e propria di colorazione del mobile eseguita ancora oggi manualmente con pennello da un maestro lucidatore: arriviamo a dare sino a quattro, cinque mani di colore per ottenere il risultato de iderato che viene poi fissato con vernice.
e) Diamo successivamente il fondo per isolare il colore dato nelle fasi di lavorazione precedenti che viene a sua volta carteggiato.
f) Fase finale di lavorazione è la finitura del mobile con vernice – sottolineiamo che tutti i fissanti, le vernici e componenti utilizzati sono atossiche, conformi alle norme vigenti.
Caratteristica fondamentale del procedimento di finitura dei nostri mobili è la realizzazione del colore a stadi, strato dopo Strato come sopra descritto: queste numerose fasi di lavorazione ci permettono di ottenere una rrasparenza ortirnale per la valorizzazione dell’ essenza lavorata.
Per chi desidera una finitura che richiami in modo deciso il mobile antico offriamo la possibilità di finire il mobile a tampone a stoppino: procedimento che nacque in Francia alla fine del ‘700 alla cui base troviamo una sostanza resinosa di origine animale, ancora oggi tale lavorazione viene chiamata erroneamente a gommalacca perché un tempo si credeva che tale sostanza resinosa, per la particolare colorazione, fosse un lattice derivato da lacche orientali. Il nostro esperto lucidarore, prendendo in consegna l’articolo dopo l’ultima fase di lavorazione (finitura del mobile con vernice), utilizzando il tampone a mano per miscelare gli strati di vernice del mobile crea delle variazioni di brillantezza (lucido/opaco) che conferiscono al pezzo una finitura che richiama il mobile antico ottenendo anche l’unicità di realizzazione.

Tecniche realizzazioni arredamenti: La Falegnameria

Posted by: admin / Posted on: 27 Novembre 2009 / Category: Arredamenti & Suggerimenti d'Arredo

Le tecniche utilizzate per le lavorazioni del legno massiccio e del legno lasrronato sono quelle artigianali, volute dalla tradizione dei maestri ebanisti. I telai dei nostri mobili hanno una struttura portante in legno massello, mentre tutte le superfici estese sono lastronare. La scelta tecnica di accoppiare una base di legno ad un’essenza pregiata ( Radicarura, Lasrronatura, erc.) è dettata dal risultato di notevole robustezza e resistenza alle deformazioni nel tempo: tale traguardo è orrenibile mediante l’utilizzo di colle e con l’accorgimento di sovrapporre dei legni con le fibre diversamente orientate, così da compensare i movimenti naturali del legno. Anche l’intarsio che caratterizza buona parte della nostra produzione ha radici antiche, tecnica che vide la luce in Francia nel ‘600 (rnarquererie). L’intarsio si ottiene combinando essenze di pregio più chiare e più scure, intagliate in opportune dimensioni e sagome affinché si incastrino perfettamente andando così a realizzare un prezioso decoro per i nostri mobili.

‘800 Rivisitato

Posted by: admin / Posted on: 27 Novembre 2009 / Category: Arredamenti & Suggerimenti d'Arredo

In una bella villa dell’800 situata in uno splendido parco, è stato sistemato questo piccolo appartamento per una giovane coppia; pur rispettando le strutture e l’aspetto esterno della casa, ne è risultato un ambiente dal piglio estremamente allegro e giovane, potremmo dire un neoclassico riveduto in chiave spiritosa e moderna: il giallo ocra delle pareti e il bianco dei divani sdrammatizzano il classico caminetto, i busti sulle porte, le librerie d’epoca; le righe bianche e rosse dei cuscini, pur richiamando lo stile Impero, danno una nota di tutta allegria; raccolto e intimo l’ambiente pranzo; negli angoli due sagome di candelabri dipinti rallegrano come vere composizioni di fiori.
Sopra il bel caminetto in marmo chiaro con leggere colonne e capitelli ai lati è collocata una bella specchiera settecentesca in legno intagliato e dorato con a lato due “trofei” in legno dipinto.

Saracino Arreda '800

Colombostile New Editions second part

Posted by: admin / Posted on: 30 Settembre 2009 / Category: Arredamenti & Suggerimenti d'Arredo

The international exhibition of decorative arts held in paris in 1925 was the occasion of greatest visibility for a style in the decorative arts that was labelled, in french, moderne. Those were the années folles, which were witnessing a renewal in art and the birth of industrial design, in its proper sense of designing objects that could be replicated on an industrial scale. The emerging style was indeed modern; it had deep roots in number of different sources – in art nouveau, to begin with, and its many national versions; in orientalism, with its more mature and curious outlook on the colonies; and in the british movement arts and craft, which, though deriving from neo-gothic and the acknowledgement of the superiority of handicrafts over mass production, actually paved the way for issues that would become the theoretic framework of the deutsche werkbund and the bauhaus. The moderne style was renamed art déco only around 1940, an abbreviation of the paris exhibition of arts décoratifs. Its most innovating feature was its ability to knit together compositional and linguistic issues on the international level, by accepting the instruments provided by industrial production and reshaping them to qualify works of art. In architecture its main intent was to renounce all ties with past styles by turning to new materials (reinforced concrete became the new architecture’s trademark material) and building techniques, developing new relations between volumes and new ideas in putting together surfaces and their ornamentation. The modernist drive permeated every artistic or planning project, putting to use the latest technology, trying out new materials and inventing new applications for existing ones, examining functional aspects and organizing them in formal paradigms that did not reject ornamentation but rather gave it geometric forms and made it a messenger of its innovating force. In this spirit of modern internationalism, that encompasses and binds together cultural, artistic and social expressions, colombo stile has always dedicated special attention to art déco. In these days of unending change and complicated cultural contamination, its language is still relevant – that is why we have dedicated this collection to art déco and to the periods immediately preceding or following. In the riedizioni line, colombo stile’s tradition brings together geometric motifs with inlays of exotic nature, taking inspiration, with due sobriety, from a time of changes

Le Riedizioni di Colombostile parte seconda

Posted by: admin / Posted on: 30 Settembre 2009 / Category: Arredamenti & Suggerimenti d'Arredo

Si chiamava “moderne” lo stile delle arti decorative che ebbe il suo momento di grande visibilità all’esposizione internazionale delle arti decorative di Parigi, nel 1925. Era il periodo degli années folles, della rinascita dell’arte, della nascita del design industriale, in senso proprio, come disegno di oggetti replicabili su scala industriale, e lo stile che si impose era moderno davvero: aveva radici profonde in una serie di fenomeni diversi, dall’art nouveau e tutte le sue declinazioni nazionali, in primo luogo, all’orientalismo e da un rapporto più curioso e maturo con le colonie, al movimento inglese dell’arts and craft, che pur partendo dal neogotico e dalla valorizzazione dell’artigianato manuale contrapposto alla produzione di serie, apre in realtà la
strada ai temi che costituiranno la base teorica del deutsche werkbund e del bauhaus.
E’ solo verso il ‘40 che lo stile “moderne” è ribattezzato déco, con un’abbreviazione dell’esposizione di Parigi, des arts décoratifs, appunto. Il suo contenuto più innovativo consiste nell’aver saputo unificare la problematica compositiva e linguistica a livello internazionale, accettando gli strumenti della produzione industriale e piegandoli ai fini della qualificazione del prodotto artistico. in architettura esprime soprattutto la volontà di negare i legami di continuità con gli stili del passato, attraverso l’applicazione di materiali (il cemento armato diventa il marchio di fabbrica della nuova architettura), di procedimenti costruttivi, di rapporti volumetrici originali e in una nuova precisazione del rapporto tra superficie e ornamento. La vocazione
modernista permea di sé ogni manifestazione artistica e progettuale, si appropria delle ultime tecnologie, sperimenta materiali nuovi e reinventa utilizzi per quelli vecchi, approfondisce gli aspetti funzionali e li definisce in un linguaggio formale che non nega il decoro, ma anzi, geometrizzandolo, lo rende messaggero della sua carica innovativa.
Proprio per questo spirito di moderno internazionalismo, capace di abbracciare e fondere insieme manifestazioni culturali, artistiche e sociali, da sempre colombo stile ha una attenzione speciale per il déco. in un’epoca di forti trasformazioni e di complessi immeticciamenti culturali come è quella contemporanea, l’ attualità del suo linguaggio è ancor più evidente: ecco perché dedichiamo al déco, e a momenti immediatamente precedenti o successivi che con lo stile sono in rapporto di contiguità, questa collezione. la tradizione colombo stile coniuga, con la linea riedizioni, la decorazione geometrica alla natura esotica in intarsio ispirandosi, con equilibrio, ad un tempo specchio di mutamento

Colombostile New Editions

Posted by: admin / Posted on: 30 Settembre 2009 / Category: Arredamenti & Suggerimenti d'Arredo

The name Colombostile signifies a predilection for stylistic exploration combined with creative impudence. It comprises a collection of diverse aesthetic spirits that include s.i.p.arr: the essence of an elegant, refined classicism which is particularly treasured – in a number of countries around the world – for the softness of its expanses and the richness of its details.
Also forming part of Colombostile is c.s. Divani, a division which is exclusively devoted to the hand-crafted production of padded furniture, sofas and easy chairs, all created with the contributions of famous designers such as maurizio chiari, mariella mattei, roberto nicolai, carlo rampazzi, hierro desvilles and many others.
Thus, Colombostile can satisfy any furnishing requirement, since a living environment is not made up of individual pieces, but instead consists of a balanced orchestration of cabinets, padded furniture pieces, accessories, panels and other items that work together to create the landscape experienced by the occupant.
Colombostile has unmatched experience both in executing projects according to the client’s plan and in designing proposals to order.
Such projects include doors, equipped walls, kitchens and other elements, which are all integrated to originate decorative schemes whose designs, structures and finishing enjoy the creative boldness and executive
Mastery that are the hallmarks of colombostile.
What’s more, the company seeks to achieve total quality, especially in its relationship with clients. A privileged, world-wide partner for architects and professionals in its sector, colombostile is poised to meet the particular requirements of royal families, embassies, governments, industrial magnates, major hotel chains, shipowners, and whoever, in short, is surrounded by extreme luxury. Lying at the heart of the company’s philosophy is a predilection for stylistic exploration into new roads that lead to “beautiful” as the final goal.
Another central concept is the company’s willingness to satisfy the taste and the specific needs of the buyer; in fact, much of the company’s production is carried out according to the client’s plan or is designed to order, so that the finished product fits perfectly into the decorative environment as required. From initial contact to timely delivery, a collaborative relationship is created that gives rise to newly proposed colours, materials and dimensions, all of which specially designed on a case-by-case basis to fulfil the specific wishes of the individual client.

Le Riedizioni di Colombo Stile

Posted by: admin / Posted on: 30 Settembre 2009 / Category: Arredamenti & Suggerimenti d'Arredo

Il marchio Colombostile rappresenta il gusto della ricerca unito alla sfrontatezza della creatività, e racchiude in sè più anime, la s.i.p.arr, essenza di un classicismo elegante e rafffinato, particolarmente apprezzato in alcuni paesi del mondo per la morbidezza dei volumi e la ricchezza dei particolari e c.s. Divani, la divisione dedicata esclusivamente alla lavorazione artigianale di imbottiti, divani e poltrone, con la collaborazione di noti designers quali Maurizio Chiari, Mariella Mattei, Roberto Nicolai, Carlo Rampazzi, Hierro Desvilles ed altri ancora.
Colombostile risponde così ad ogni esigenza dell’arredare. L’ambiente infatti non è costituito da singoli pezzi, ma da un’orchestrazione armonica di mobili, imbottiti, accessori, pannellature ed altro, che costituiscono il paesaggio di chi abita.
Colombostile è una società di grande esperienza per tutti i lavori su disegno e su misura, quali porte, boiserie, ed altro. Da tutte queste anime prendono corpo arredamenti completi, i cui disegni, strutture e rifiniture godono sempre dell’audacia creativa e della padronanza esecutiva di Colombostile.
L’azienda mira alla qualità in tutto, anche nel rapporto con i clienti.
Interlocutrice privilegiata di architetti e professionisti del settore in tutto il mondo, colombostile è pronta a soddisfare le esigenze particolari di famiglie reali, ambasciate, governi, industriali, grandi catene alberghiere, armatori, di chi, in breve, è circondato dal lusso estremo.
Il gusto della ricerca è alla base della filosofia dell’azienda per conseguire nuove vie che conducano al “bello” come la sua disponibilità ad incontrare il gusto e le esigenze specifiche del committente.
Infatti buona parte della produzione è eseguita “su disegno e su misura” perchè il prodotto finito si inserisca alla perfezione nell’ambiente che lo richiede.
Dal primo contatto alla puntuale consegna, si instaura un rapporto di collaborazione creando nuove proposte di colori, materiali e dimensioni studiate ad hoc per soddisfare i desideri di quel particolare cliente.

L’Arredamento è figlio primogenito dell’Architettura di Fernando Saracino

Posted by: admin / Posted on: 30 Agosto 2009 / Category: Arredamenti & Suggerimenti d'Arredo

Lo stile del mobile ha sempre avuto un padre inequivocabile nel corrispondente stile architettonico che lo ha generato.
Gli stili architettonici hanno sempre influenzato quello degli arredi e delle decorazioni in genere. Tuttavia l’arredamento come arte ha una ben precisa origine: il Rinascimento.
Fu proprio col Rinascimento che sorsero i primi mobili d’autore.
Il Palladio, l’Alberti, il Vignola, celebri architetti Padri del Rinascimento, non si limitarono a progettare ed eseguire celebri edifici monumentali e non meno celebri sculture, ma dedicarono molte delle loro attenzioni (e dei loro scritti) ai mobili ed agli arredi in genere, il cui successo non si limitò entro i confini nazionali, ma giunse presto all’estero, in cui si manifestò la loro influenza dando poi luogo alla nascita di stili compositi derivati dalla fusione del rinascimento col gotico. La mobilia del Cinquecento è caratterizzata da una ricerca di grandiosità e magnificenza sotto l’influsso dello studio dell’antichità romana e l’uso dei motivi antichi rispondeva ad un gusto archeologico ma era anche ricerca di modi tendenti ad esprimere le idee contemporanee.
I mobili si adattavano agli interni rinascimentali le cui stanze erano dominate dal focolare, come le
sale del medioevo, e la loro disposizione era determinata dalle fonti di luce e di calore. C’erano perciò i mobili fissi e quelli spostabili.
Fra i mobili fissi ricordiamo i grandi armadi a muro per riporvi biancheria e abiti, le credenze imponenti con dorsali e facciate sontuose, scandite da lesene che racchiudono coppie di ante. Hanno la base robusta che poggia su zampe di leone con il cornicione in alto a pari sporgenza.
Altri esemplari sono il tavolo rettangolare, possente e massiccio, a sostegno centrale in cui si inseriscono cassetti e sportelli e da cui, pare, abbia origine la credenza.
Anche qui sono presenti le zampe leoni ne e la cornice decorata da intagli; le gambe di sostegno sono varie, possono assumere la forma di un vaso, oppure sono lavorate con decorazioni a foglie d’acanto che creano un effetto non privo di solennità, la traversa di raccordo è inserita in modo deciso tra i sostegni laterali.
Altro esemplare importante è l’armadio su cui gioca in modo vigoroso l’intaglio della cornice, della pedana sporgente fissata a terra o su zampe di leone, delle ante a pomoli o a bambocci.
Ma il mobile principe è il cassone, ed in forma piu ridotta, ma di aspetto non meno monumentale, il cofanetto.
Sul cassone si è sbizzarrita la più estrosa fantasia dell’intagliatore che prelude già all’arte del Seicento.
Con l’inizio del Cinquecento i cassoni vengono dotati di spalliera e di braccioli in modo da avere la cassapanca, che stava addossata alla parete. Si tratta dei primi esempi dei moderni divani. Questo nuovo stile ebbe diverse variabili a seconda dei paesi in cui si diffuse (Francia, Germania, Olanda, Inghilterra). Soprattutto in Inghilterra, questa forma ibrida gotico-rinascimentale ebbe una spiccata personalità e diede origine allo stile cosiddetto elisabettiano, caratterizzato dall’uso del legno di quercia e dall’adozione delle tecniche della scultura e dell’intarsio, pur con un carattere semplice ed austero.
Nei periodi successivi a quello elisabettiano e fino agli inizi del diciottesimo secolo, spariscono le ultime tracce dello stile gotico ed il rinascimento italiano prende il sopravvento.
La scultura e l’intarsio tuttavia resistono sebbene in forme più semplici, mentre gli intarsi di madreperla e avorio ed il primo timido uso delle lacche (importate dalla Cina) preannunziano una nuova moda che trionferà verso la fine del secolo e per buona parte di quello successivo (il diciottesimo) e che ebbe in Thomas Chippendale il suo più illustre rappresentante e che legò il proprio nome ad uno stile ancor oggi inconfondibile.
Nel successivo secolo dominò lo stile impero, denominazione derivata dall’impero napoleonico.
I mobili di questo stile apparvero in Francia dopo il 1805 e, dalla Francia si diffusero in tutta l’Europa.
Anche in questo caso lo stile influenzò innanzitutto l’architettura e, successivamente i mobili e gli arredi, così come avvenne per il successivo «Liberty» ed il più recente «Novecento».
Il mobile di stile Impero fu di aspetto austero, dalIa massa scura e piena, tutto ammantato di severa misura e compostezza tale da eludere qualsiasi fantasia inventiva.
Il «Liberty» nacque verso la fine del diciannovesimo secolo sia per reazione all’ecletismo accademico, sia come difesa istintiva alla industrializzazione che sembrava minacciare, con la possibilità di produzioni in serie degli oggetti, (e quindi anche dei mobili) ogni loro peculiarità.
Ebbe una lenta evoluzione attraverso l’intero diciannovesimo secolo e tramontò definitivamente alla vigilia della prima guerra mondiale, ponendo fine a quella che fu definita «la bella epoque».
Il «Liberty» fu un fatto di costume che investì non solo l’architettura ed i mobili ma anche soprammobili, tessuti, tappeti.
Fu definito «stile floreale» per la generale tendenza a decorare con motivi floreali, o, comunque, riccioluti.
Gli inizi del ventesimo secolo vedono un susseguirsi di nuovi orientamenti destinati alla ricerca di una nuova identità espressiva ed al superamento del gusto borghese.
Si affermava in architettura – e quindi nell’arredamento il concetto che anche il minimo particolare doveva servire ed uno scopo preciso, che il disegno doveva adattarsi al materiale impiegato e non viceversa.
Perciò l’attenzione dedicata al più piccolo dettaglio creò degli esemplari di assoluta perfezione che si espressero nel concetto estetico di forma pura.
L’arredamento in stile 900 rispose in tal modo a criteri di semplicità e funzionalità ai quali si aggiungeva un profondo amore per le cose naturali. Lo stile 900 realizza veramente l’equilibrio fra eleganza e praticità, fra linea e funzione. L’architettura e l‘arredo contemporanei sono gli eredi di quel concetto ancor oggi valido come agli inizi del nostro secolo.

Il Mobile nel XIX secolo di Fernando Saracino

Posted by: admin / Posted on: 30 Agosto 2009 / Category: Arredamenti & Suggerimenti d'Arredo

A differenza dei secoli precedenti, in cui il gusto nell’arte dell’arredamento seppe seguire uno sviluppò progressivo e deciso, nell’800 tale processo di trasformazione mancò nel senso che tutti gli stili prodotti precedentemente coesistettero durante tutta la durata del XIX secolo per poi frantumarsi agli inizi del XX con l’esplosione dell’ Art Nouveau.
Si usava arredare le varie stanze in stili diversi ciascuno appropriato alla funzione della stanza ed in ciò è determinante la presenza sempre più influente della donna. Gli stili che furono maggiormente imitati e divennero popolari nel secolo scorso furono il XVII e XVIII secolo, il Luigi XIV, il neorococò ed il Luigi XVI. Il neorococò fu lo stile che più di ogni altro fu in grado di soddisfare le
esigenze borghesi di una società che si adagiava in posizione di sicuro benessere.
Ecco quindi l’esigenza di costruire mobili comodi, solidi e di gradevole aspetto. Il basso costo ed i mezzi di lavorazione meccanica contribuirono eccezionalmente allo sviluppo delle arti domestiche e permisero di produrre con facilità e a basso costo una grande quantità di esemplari. I processi tecnologici furono i veri responsabili dell’aspetto nuovo dei mobili e della loro funzione: basti pensare all’invenzione della molla a spirale e al taglio del legno, all’introduzione di parti metalliche, per rendersi conto dell’importanza assunta dal mobile come forma di vita. Il mobile dell’800 conserva le forme ricurve, le volute, gli ornamenti degli esemplari precedenti. Verso il 1850 si verificano nuovi sviluppi nella struttura della sedia: il primo risultato fu la creazione della sedia con «schienale a pallone», nella quale montanti e colonnina superiore della spalliera si fondevano in una curva continua. È la tipica sedia comoda della seconda metà dell’800. Alcune sedie erano particolarmente adatte alla sala da pranzo perché avevano un’intelaiatura prù solida e le gambe anteriori rivoltate a piede di capriolo. Altro particolare importante fu l’applicazione delle frange e delle imbottiture, sistema che rivoluzionò la comodità delle sedie e dei divani dando origine al mobile capitonné. I mobili di stile 800 divennero popolari fino alla fine del secolo perché di grande praticità, in quanto erano creati per venire usati in ogni stanza della casa soprattutto nel salotto dove prevaleva il gusto femminile. Ancora oggi il gusto del salotto stile 800 non è scomparso e si possono ammirare modelli la cui messa a punto tecnica e stilistica nulla ha da invidiare a quella del passato.

Il mobile ed il suo ambiente di Fernando Saracino

Posted by: admin / Posted on: 29 Agosto 2009 / Category: Arredamenti & Suggerimenti d'Arredo

Da quanti secoli l’arte del mobile dona al mondo il prezioso dono del suo elaborato?
La sua origine risale ad antichissimi tempi attraverso i quali si affermarono e prevalsero i più caratteristici stili che acquistarono via via un meraviglioso splendore insieme a chiari e tipici aspetti nazionali.
Quanto piu avanziamo nel tempo tanto piu vediamo svilupparsi un’arte mobiliera in rapporto alle crescenti esigenze della vita pubblica e privata anche per merito del perfezionamento dei mezzi di produzione, come possiamo rilevare al massimo grado nella nostra era.
Nella lunga strada percorsa per arrivare fino a noi troviamo sempre l’impronta di quei grandi maestri di civiltà che furono i Romani i quali, ereditata dai Greci e dagli Egiziani, pilastro delle antiche generazioni, l’istituzione dell’arredamento, non solo la perfezionarono e potenziarono, ma l’estesero ancora a tutto il vasto dominio dell’impero, da cui scaturì una nuova forma d’arte, la bizantina, che diede a sua volta vita al Gotico e quindi al Rinascimento, al Barocco, al Rococò, al Neoclassico, per arrivare al Moderno.
Come si vede la strada dell’arte non s’arresta mai.
Dal III al XV secolo i mobili cessarono d’essere un bene di vasto uso, tuttavia la maestria artigianale rendeva vivi e presenti nel mobilio i motivi e gli stili che caratterizzavano l’architettura, tipico l’impiego dell’arco acuto o a tutto sesto ripreso dalla linea strutturale dell’edificio. Dopo che Roma ebbe subìto nel V secolo d.c. tre saccheggi ad opera dei cosiddetti popoli barbari, le manifestazioni dello stile romano si concentrarono in gran parte nell’Impero d’Oriente, l’altra propagine dell’impero romano voluto da Diocleziano nel 284 a.c., con capitale Bisanzio, donde il nome dello stile che ne derivò.
Le notizie del mobilio dei successivi novecento anni sono scarse e vengono desunte dalle miniature, dalla letteratura e dai pochi pezzi che ci sono pervenuti. Sappiamo cosi che nel VI secolo d.C. c’erano sgabelli torniti con traverse a «X», un letto o panca con gambe lavorate al tornio, un tavolo anch’esso con traverse ad «X», un trono somigliante a una sedia di vimini con schienale ricurvo che si prolungava al di sopra della testa della persona che restava seduta.
La presenza di questo particolare sedile persiste ancora nell’Europa del XII secolo.
Del VII secolo abbiamo un ottimo esempio di artigianato franco, la sedia di Dagoberto, che riproduce in bronzo dorato la sedia curule romana, usata dai magistrati, derivata a sua volta dagli Etruschi.
Il mobilio bizantino era in generale più elaborato di quello che si produceva in occidente, soprattutto per l’uso dell’intarsio.
L’utilizzazione di materiali preziosi è stata praticata fin dai tempi antichissimi; ci restano testimonianze del fatto che tale impiego obbediva a criteri estetici per cui l’avorio era usato per ornamento e Salomone aveva un trono d’avorio ornato di fregi d’oro; la statua di Giove Olimpico, nel mondo pagano, opera dello scultore Fidia, era d’avorio e d’oro.
Oro e avorio insieme sortivano un effetto estetico di così eccezionale importanza da giustificarne l’abbondante profusione sia nella decorazione dei mobili che degli interni, come ci testimoniano le pitture murali ed i mosaici che sono una riproduzione ambientale della vita di quei lontani tempi.
Sempre a proposito di materiali preziosi ricordiamo che anche un altro grande re franco, Carlomagno, l’instauratore del Sacro Romano Impero d’Occidente, aveva istituito una piccola rinascita della classicità e, a somiglianza dei Cesari di cui continuava la tradizione, faceva uso di mobili laminati con metalli pregiati.
Se l’ambientazione e il gusto dei tempi passati avevano favorito l’uso di mobili in materiali diversi quali il marmo, il bronzo, il ferro, si può dire che col XIII secolo, all’avvento del Gotico, il legno è il materiale per eccellenza che si prestava alle creazioni più fantasiose dell’intaglio, il dominatore dello stile delle grandi cattedrali, che proclamava in tutta l’Europa la sovranità e il trionfo della Chiesa.
Intagliatori e falegnami davano vita a quelle opere prodigiose che erano i banchi in legno, i cori, le casse d’organo ornate di una varietà infinita di scene di vita frammiste a particolari d’animali, di piante rare, di fiori, e quant’altro la fantasia crea d’immaginoso e di reale.
L’arte rispecchiava la società del tempo.
I nobili subivano anch’essi l’influsso di quello stile elaborato e rigido nello stesso tempo e bisogna attendere il Rinascimento perché essi si scrollino di dosso le loro origini medioevali per riprendere il filone del repertorio classico.
Un particolare di eccezionale interesse riveste la straordinaria differenza che intercorre tra il contesto architettonico grandioso e imponente e la povertà dell’arredamento rinascimentale del Quattrocento, in cui si avverte chiaramente il contrasto tra le nuove soluzioni spaziali ed il loro contenuto piuttosto scarso che non favorisce di certo il senso d’intimità degli interni. Tale conferma la ritroviamo nelle grandi opere dei pittori italiani del Quattrocento fra le quali citiamo “La nascita della Vergine” di Domenico Ghirlandaio; “11 sogno di Sant’Orsola”, di Vittore Carpaccio; il “Sant’ Agostino nello studio”, anch’esso del Carpaccio.
In questi quadri si avverte chiaramente la vastità della stanza cui non corrispondono un’adeguata mobilia né gli altri elementi di arredamento, sì da restare colpiti da una profonda impressione d’isolamento.
Le camere raffigurate risultano arredate con pochi mobili: nell’una si vede un letto con baldacchino sostenuto da esili colonnine tornite che poggiano su un’ampia pedana decorata, più in là c’è l’onnipresente sgabello a tre gambe, uno stipo aperto con ripiano divisorio centrale, un tavolo ricoperto da un panno aranciato con frange; nell’altra è un tavolo stilizzato pieno di oggetti da studio, un leggia con i libri ben allineati, una sedia gotica con schienale a cuspide e braccioli con borchie.
Quando si parla di mobili nei vari stili si deve sempre intendere un certo ambiente di alto livello sociale, il cui committente fosse esso cardinale o principe, ordinava agli artisti famosi l’addobbo della sua dimora opulenta e grandiosa.
Fino a quando non ci fu la rivoluzione della struttura in senso moderno della casa, la disposizione dei mobili nelle stanze e la successione di queste erano comuni in tutta l’Europa.
È durante il periodo barocco che cominciò gradualmente a svilupparsi la distribuzione tra le stanze di rappresentanza, usate solo per le grandi occasioni e per apparizioni pubbliche, e gli appartamenti privati destinati alla vita di tutti i giorni.
Tale processo diventerà il canone fondamentale dell’ambientazione moderna nel Settecento, per arrivare ai nostri giorni in cui la casa rappresenta il vero perno della vita intima della famiglia.

A misura del tempo di Luigi XVI

Posted by: admin / Posted on: 29 Agosto 2009 / Category: Arredamenti & Suggerimenti d'Arredo

Al museo del Louvre di Parigi, in una delle sale della Colonnade che conserva arredi d’importanza storica ed artistica, fra arazzi e ceramiche, pezzi Boulle e Cressant, smalti e tappezzerie, è esposto anche un orologio stile Luigi XVI, quello che Capelletti di Meda ha usato come modello per la creazione dell’esemplare dell’immagine.
L’originale conservato al Louvre, risalente al XVIII secolo, è opera dell’ebanista Martin Carlin, del quale sono esposte due angoliere e due commode sempre al museo parigino, un pregevole tavolino al Victoria and Albert Museum di Londra e altri esemplari presso collezioni private. Assolutamente da non sotto-classificare allora, anche se non così innovatore come Oeben, cognato di Carlin e ispiratore di molti suoi lavori; nè celebre come Riesener, ritenuto il più grande ebanista dell’epoca. Non diventò mai, come invece Oeben, fornitore regio, ma preferì affidarsi alle ordinazioni sicure e redditizie dei “marchandsmerciers” più in vista, che a loro volta in molti casi facevano comunque pervenire indirettamente alla corte le opere di Carlin.
La sua abilità di ebanista e le sue relazioni, oltre che con Oeben anche con Roger Lacroix con cui era in rapporto di stretta amicizia, gli permisero di raggiungere in età ancor giovane la “maitrise”, titolo onorifico di grande prestigio nel campo delle arti decorative. Carlin si attenne strettamente alle tendenze dello stile Luigi XVI: stile che, pur facendosi promotore del ritorno al semplice e al “naturale”, in una posizione di rigetto nei confronti dell’esuberanza formale del rococò, si lasciava tuttavia andare ad una decoratività molto gaudente e fantasiosa. L’innovazione di maggior rilievo da riscontrare nello stile di Luigi XVI fu comunque la rivisitazione degli elementi architettonici e dei motivi decorativi dell’arte classica: e non solo si trattò di rivisita¬zione, ma di maggior com¬prensione di quei canoni di grazia e decoro che prima delle scoperte archeologiche del tempo, a Pompei prima e a Ercolano più tardi, erano stati travisati da un’ottica de¬formante che li aveva erroneamente interpretati in veste ampollosa e maestosa. Questi elementi classici vennero così utilizzati a profusione dagli ebanisti, incantati dal fascino che sprigionavano i recenti ritrovamenti nelle ceneri del Vesuvio. E l’influenza non venne limitata all’apparato decorativo, ma anche all’andamento delle linee strutturali: il ritorno all’antico significava un ritorno alla purezza della linea diritta, eliminando gradualmente le sinuosità del rococò. Anche nell’orologio di Carlin ricreato da Capelletti la struttura, sostenuta da una base a quattro piedini diritti, si slancia in altezza simulando la verticalità architettonica di un pilastro, mai deviando dalla linea retta se non nella conformazione del quadrante. Il pezzo, in legno massello con impiallacciatura in legno di rosa ed altre essenze pregiate, è impreziosito da bronzi dorati in oro zecchino in una disposizione degna di un lavoro di oreficeria.
I motivi decorativi sono tratti dal mondo vegetale, dall’architettura, ma soprattutto dalla tradizione classica greco-romana: Cl sono rosoni e trofei, viticci e foglie di alloro, ghirlande di fiori e foglie d’acanto. E poi il brucia-profumi, uno degli oggetti rinvenuti negli scavi e subito riutilizzato in senso ornamentale, i triglifi, che definiscono gli spigoli del pezzo, e i putti, inseriti nella cornice del quadrante in uno svolazzare di drappeggi bronzei che Carlin prediligeva in modo particolare. Per dare l’idea della sua importanza arredativa oltre che storica, riportiamo le dimensioni del pezzo: cm. 50 x 32 x 228

A

Medea – La Metamorfosi del mobile classico

Posted by: admin / Posted on: 29 Agosto 2009 / Category: Arredamenti & Suggerimenti d'Arredo

Premessa: Non sono uno studioso di linguaggi, ma le strutture comunicative, sia verbali sia figurative, mi hanno sempre attirato per le possibilità di sperimentazione che offrono. Se consideriamo i linguaggi dell’arredo troviamo una ricchezza formale ed una varietà doppiamente interessanti.
Più dell’architettura, infatti, l’arredo e le sue lingue combinate evocano con precisione epoche, stili di vita, costumi, abilità artigianali e racconti. Riferendosi ad atti primari, quotidiani e stabili dell’abitare affermano con rigore e costanza la qualità astratta degli stili, la loro relatività e stabilità formale, la fondamentale indifferenza funzionale (una sedia è una sedia). Come non sorprendersi, infatti, di quanto il settore dell’abitare più di qualsiasi altro, ammetta una costante diacronia linguistica all’interno del panorama degli oggetti d’uso che lo popolano. Mentre nessuno si sognerebbe di usare vecchi telefoni o antiche macchine per scrivere, radio a galena o automobili d’epoca, tutti ammettono nell’arredamento la presenza di efficienti antichità accostate a modernità e modernariato.
Il “moderno” inteso come forma contemporanea capace di rappresentare concretamente stili di vita aggiornati e in sincronia con l’evoluzione tecnica e produttiva, è parte minore del paesaggio domestico reale delle case. Lo stile nell’arreda¬mento o meglio, l’arredamento in stile, sembra quindi avere una sua insopprimibile vitalità e capacità di rappresentare/presentare valori culturali e sociali, valori forti e soprattutto stabili. Declinato in modi colti e popolari, eleganti e kitsch, sciatti e sontuosi, patetici e arroganti, ma sempre nella loro falsità autentici, si stratifica con regolarità nello spazio e nella memoria delle famiglie. Curiosa e paradossale posizione questa,
che vede sullo stesso fronte del gusto la piccola borghesia e i ceti abbienti, che entrambi sembrano avere in sospetto la modernità e il suo bagaglio di stilemi geometrici e freddi,
come derivazione gracile ed instabile dell’effimero della moda o come imperativo astratto slegato dal buon senso dell’uso e della tradizione.
Antefatto: Per ragioni oscure, ma non per questo meno pressanti, fin dai primi anni dei miei studi ho ritenuto gli stilemi classici notevoli per inutilità funzionale e capacità semantica. Gli esercizi liceali di disegno con volute e foglie, modanature
e decori mi obbligavano a comprendere e riprodurre forme complicate e lontane. Lo studio successivo degli stili architettonici e della loro siderale astrattezza mi convinsero poi che era più proficuo non contrapporvi in senso evolutivo e darwiniano la purezza del Funzionale e del Razionale, ma tentare invece blasfeme contaminazioni, ibridazioni sorprendenti, accostamenti imprevisti. Da questa filosofia dell’incastro linguistico nacquero disegni, visioni e qualche oggetto privo di senso tecnico e funzionale, ma capaci di aprire un ventaglio di possibilità ironiche e paradossali sulla natura del linguaggio. Incontro: Una delle conseguenze di queste pratiche rischiose è la formazione di una linea/piano di separazione e di contatto fra due diversità. Che questa linea/piano separi, forme, mate¬riali, funzioni o oggetti opposti, essa diviene comunque per sua natura un punto di frizione, una discontinuità semantica interessante. L’occasione di una mostra a Verona e l’accoppiamento involontario con l’azienda Medea resero possibile una verifica reale di queste mie calcolate discontinuità stilistiche. La scelta cadde su una sedia che nel mondo del mobile è l’archetipo strutturale per eccellenza. AI di là del paradosso formale Augusto Tagliabue intravide in quell’azzardo una sfida interessante sul piano esecutivo, e forse qualcosa di più: un’esercitazione, un aforisma sul tema della modernità che salvava “facendola a pezzi” la tradizione artigianale di famiglia.
AI primo pezzo, che tagliava a metà una sedia liberty inglese innestando sulla ferita una moderna poltroncina a guscio curvato, se ne aggiunse un secondo, per finire con un terzo virtuosistico esercizio sulla chaise-Iongue liberty di Zeno
Sempre le operazioni chirurgiche sono partite da pezzi del catalogo Medea. Col tempo ho capito che la sensibilità di Augusto Tagliabue derivava da una sua personale attenzione alla storia del mobile come serie di sfide e invenzioni, di forme e di soluzioni. La sua personale e disordinata collezione di pezzi è assolutamente svincolata da classificazioni tipologiche o stilistiche. Credo anzi che la storia dell’arredo per Tagliabue sia una elenco aperto di opere singole ognuna delle quali presenta una storia, un problema e una soluzione trovata non senza eleganza. A questa impegnativa parola Augusto preferisce quasi sempre il termine “sapore”; segno ulteriore che per lui il mobile e le sue forme attengono più alla sfera dei sensi che non a quella dell’intelletto.
Conclusione: L’idea che pian piano si va facendo strada è quella che una collezione per un mercato più maturo e meno settario, possa essere appunto una collezione di diversi “sapori” presi liberamente nel grande alfabeto della storia del ‘900 e scelti per una specifica originale qualità. Pezzi ricostruiti a partire da un originale o da un’immagine, pezzi reinterpretati evitando la fredda filologia, pezzi d’autore di una storia recente dove architettura e arredo trovano una sintesi armonica e pezzi contemporanei nei quali proporre una visione non minimale delle possibilità espressive di una materia il legno e di un mestiere, quello di mobiliere o, come dicevano i nonni di Augusto, di ebanista.

Saracino Arreda presenta la Sedia Chiavarina

Posted by: admin / Posted on: 28 Agosto 2009 / Category: Arredamenti & Suggerimenti d'Arredo

Ho sempre avuto una grande passione per le sedie di Chiavari. Tale fascino o “naturale attrazione” in realtà ha ben poco di naturale e non è certo casuale. Si costruisce su alme¬no tre questioni che sono in fondo mie, personali e riguardano il mio lavoro e gran parte dell’atteggiamento che nutro verso il progetto.
La prima questione è relativa al rapporto che le sedie chiavari¬ne intrattengono con il luogo, il fatto che esse siano un pro¬dotto locale, cioè legato in modo indissolubile ad un luogo, indipendentemente dalla loro diffusione e dal fatto che oggi si producano anche altrove. Il luogo, anzi, ha come una sorta di sopravvento sulle loro forme. Infatti, non esiste una forma specifica e data di sedia che sia riconoscibile come la “chiava¬rina”: la definizione va oltre allo stile che essa può via via assumere. La chiavarina è una sedia astilistica che può reg¬gere con indifferenza ogni stile, rimanendo sempre se stessa. La seconda questione è quella che definisce la sedia di Chiavari all’interno di una solida e consolidata tradizione bor¬ghese, fatta di certezze culturali, economiche ed etiche. Una sedia chiaramente istituzionale che rappresenta certi valori e una forte continuità storica, ma che al contempo, per la sua leggerezza, per quel suo porsi in strano equilibrio tra “grazia” e “graziosità”, per il suo essere indifferente agli stili, per l’es¬sere in qualche modo giocosa e caricatura leggerissima della sedia borghese, diviene critica ed indice di un possibile supe¬ramento degli stessi valori che è chiamata a rappresentare. Una terza questione riguarda la tecnologia: la sedia di
Chiavari più che una sedia è l’espressione di una tecnologia,
di un calcolo complesso svolto nei minimi termini costruttivi (spessori), elasticità e rimandi statici e portanti da una sottile bacchetta all’altra attraverso legami a traliccio. Essa è prima
di tutto ricerca e rarefazione, riduzione del materiale all’osso, scheletro organizzato e composto di altre sedie.
Per queste tre questioni si è sviluppato il mio innamoramento e da esso la volontà di ridisegnare quattro chiavari ne: una reinvenzione formale per comprendere fino in fondo la tecni¬ca. Una ricerca che, tutta svolta entro un mondo definito, mantiene i caratteri e produce sedie nuove e vecchissime al contempo. Quattro modelli segnati dall’appartenenza ad un mondo unico, ritagliato, specifico e riconoscibile. Ognuno di essi è l’incrocio di questo mondo con altre suggestioni e memorie. Memorie di altre sedute che vengono tradotte “nel¬l’arte di Chiavari” e che sono sovrapposizione, mistura e accu¬mulo di forme differenti tutte partecipi di un racconto straordi¬nario già letto e narrato.

fernando Saracino presenta:I Mobili anni ’40

Posted by: admin / Posted on: 14 Luglio 2009 / Category: Arredamenti & Suggerimenti d'Arredo

Adoro gli arredi degli anni ouaranta. Per molto tempo. anni fa ll ho cercati e acquislati dai rigattieri del modernariato. E una passione spontanea. una adesione totale allo stile, completamente acrltica: mi rendo conto che quegli anni hanno prodotto plc brutto che buono, ma la mia passione ha radici familiari, che nulla hanno a che vedere con Ia storia dell‘arredo e del design. E una piccola questions personals. Cambiammo casa alla fine degli anni cinquanta. Palazzo nuovo, con Ia lacciata interamente rivestita di mosaico giallo e oro. Uapparlamento, grande peri miei occhi di bambina, aveva pavlmenti di marmo paliadiana, diversi in ogni stanza: beige e rosso in soggiorno, marrone e bianco in ingresso, rosa nella camera dei miei, multicolore nelle altre stanze, verde chiaro e scuro nella mia. Dissi solo: “Non mi place il verde”, ma cosi era stato declso e allora non si teneva in gran conto l’opinione dl una bambina. Ero troppo piccola per ncordarmi il trasloco, ma chiara e ancora Ia sensazione di trovarmi il primo Nalale nella nuova casa, in un altro Iuogo cosi diverso e, almeno nel ricordo, cosi plc allegro e luminoso rispelto alla casa precedents. Nella casa non c‘erano tracce di arredi, lappeli o oggetli deIl’aItra, come se avessimo perso lutto e tossimo stall costrettl dalle circoslanze a ricostruire pezzo a pezzo ll nostro ambiente domestico. Tutto era nuovo, dalla poltrona viola (Ia Fiorenza di Franco Albini prodotta da Arflex), al divanetto Iineare, anche lui viola, Tecno. Nella camera da letlo dei miei, un letlo di Iegno con una piccola testala sullo sfondo della parele dipinta di blu. Pieclini in ferro nero sottili. La mia camera: mostrandola agli amici dissero one era in “stlIe svedese”, tutta in legno, semplice e lineare, con Ie poltroncine inv imini dalle gambette lnclinate, Era il nuovo stile moderno anni *50, ma allora non mi importava granché di quests questionl. Nella mia camera c’era un giradischi bianco-azzurro e un registratore Gelosino con i tasti tutti coloratl e questo mi sembro sufliciente per installarmi senza tanli perché nella nuova casa. Capii pil: lardi che per i miei Ia casa moderna, dove non si erano portati nulla deII’altra, significava dare un taglio netto al passato, alla loro giovinezza assal lnlelice trascorsa, per mia madre, tra Ie persecuzlonl del fasclsmo, la propaganda, Ie giovani itallane e l giovanl balilla e poi ta guerra, e il campo di concentramento per mio padre. Anni da dimcnticare, voglla di ricomlnciare, insieme, da capo. La casa nuova non solo slmbolicamenle, ma proprio iisicamente spazzava via vent’anni della loro vita. lnsieme a questi anni finiva nel dimenlicatoio Io stile che aveva caratterizzato quel tempo, dagli abiti al mobill. Gli anni quaranta, poi, erano stall davvero .Adoro gli arredi degli anni ouaranta. Per molto tempo. anni fa. ll ho cercati e acquislati dai rigattieri del modernariato. E una passione spontanea. una adesione totale allo stile, completamente acrltica: mi rendo conto che quegli anni hanno prodotto plc brutto che buono, ma la mia passione ha radici familiari, che nulla hanno a che vedere con Ia storia dell‘arredo e del design. E una piccola questions personals. Cambiammo casa alla fine degli anni cinquanta. Palazzo nuovo, con Ia lacciata interamente rivestita di mosaico giallo e oro. Uapparlamento, grande peri miei occhi di bambina, aveva pavlmenti di marmo paliadiana, diversi in ogni stanza: beige e rosso in soggiorno, marrone e bianco in ingresso, rosa nella camera dei miei, multicolore nelle altre stanze, verde chiaro e scuro nella mia. Dissi solo: “Non mi place il verde”, ma cosi era stato declso e allora non si teneva in gran conto l’opinione dl una bambina. Ero troppo piccola per ncordarmi il trasloco, ma chiara e ancora Ia sensazione di trovarmi il primo Nalale nella nuova casa, in un altro Iuogo cosi diverso e, almeno nel ricordo, cosi plc allegro e luminoso rispelto alla casa precedents. Nella casa non c‘erano tracce di arredi, lappeli o oggetli deIl’aItra, come se avessimo perso lutto e tossimo stall costrettl dalle circoslanze a ricostruire pezzo a pezzo ll nostro ambiente domestico. Tutto era nuovo, dalla poltrona viola (Ia Fiorenza di Franco Albini prodotta da Arflex), al divanetto Iineare, anche lui viola, Tecno. Nella camera da letlo dei miei, un letlo di Iegno con una piccola testala sullo sfondo della parele dipinta di blu. Pieclini in ferro nero sottili. La mia camera: mostrandola agli amici dissero one era in “stlIe svedese”, tutta in legno, semplice e lineare, con Ie poltroncine in vimini dalle gambette lnclinate, Era il nuovo stile moderno anni *50, ma allora non mi importava granché di quests questionl. Nella mia camera c’era un giradischi bianco-azzurro e un registratore Gelosino con i tasti tutti coloratl e questo mi sembro sufliciente per installarmi senza tanli perché nella nuova casa. Capii pil: lardi che per i miei Ia casa moderna, dove non si erano portati nulla deII’altra, significava dare un taglio netto al passato, alla loro giovinezza assal lnlelice tra scorsa, per mia madre, tra Ie persecuzlonl del fasclsmo, la propaganda, Ie giovani itallane e l giovanl balilla e poi ta guerra, e il campo di concentramento per mio padre. Anni da dimcnticare, voglla di ricomlnciare, insieme, da capo. La casa nuova non solo slmbolicamenle, ma proprio iisicamente spazzava via vent’anni della loro vita. lnsieme a questi anni finiva nel dimenlicatoio Io stile che aveva caratterizzato quel tempo, dagli abiti al mobill. Gli anni quaranta, poi, erano stall davvero per Ioro i pegglorl. Del passato, e della Ioro prima casa, rimasero solo vecchle foto alla rintusa ln una scatola. Oggl non c’e pit: traccia nemmeno dl quelle foto, perché e abltudine della mia famlglla elimlnare cio che non sl vuole ricordare, ma ho fatto ln tempo a vederle. a ricostrulre vaghe sensazionl della prima lnfanzia in quella casa precedente plena dl arredi anni trenta e quaranta: Ia credenza ln radlca aslmmeirlca, con una parte arrotondata e I’altra llneare, le vetrlnette sospese, Ie alzate portavasl aeree e Ieggere e poi l cllvani e Ie poltrone. stracomodl. daII’aspetlo prosperoso, generosl nelle forme e nelle cllmensioni, non ancora soggettl al vlnooll dettatl dagll spazi rldottl deII‘edlIlzla del decenni successlvi. Assoclo Flmmaglne dei moblli annl quaranta speclalmente a quella dl Ioro due, glovanl appena sposatl, ritrattl sorrldeml sul dlvano dallo schienale curvo: lei con i capelll lunghl ondulatl dalla permanente, ll vestlto pllssé stretto in vita e le soarpe con Ia zeppa; Iul magro-magro con ancora l segnl della prlglo nla e l capelli con Ia brlllantlna. Sullo sfondo, appena fuorl fuoco, una cassettlera, bella, alfa e quadrata. con Ie maniglte tubolarl. E una larnpada da terra, con il paralume troncoconlco decisamente fuorl scala. Per me, ancora oggl, l moblli annl quaranta hanno questo fasclno sentlmentale e anche un po’ struggente.

Glossario delle tecniche di lavorazione

Posted by: admin / Posted on: 10 Luglio 2009 / Category: Arredamenti & Suggerimenti d'Arredo

APPLICAZIONE FOGLIA D‘ORO
Avviene sulla stesura preventiva di una lacca color sangue di bue: “la porporina”. Sulla superficie ottenuta si applicano sottilissime lamine d’oro di spessore infinitesimale, che attraverso la casualità delI’applicazione danno luogo alla caratteristica marmorizzazione e vibrazione coloristica degli accostamenti. Una sottile protezione trasparente garantisce la tenuta finale.

CRISTALLI MOLATI E PIEGATI
Molature: consiste nell’asportazione a passaggi successivi con mole ed acque che sfaccetteno la superficie del cristallo come una gemma. L‘uItimo passaggio prevede la brillantatura a superficie a
specchio.
Curvatura: si effettua in forni ad alte temperature, vicino alla fusione, nei quail il cristallo, incandescente, si plasma su stampi in metallo assumendo la forma voluta.

IMPAGLIATURA
Viene elfettuata direttemente sulla struttura del mobile, non è preventivamente tessuta.
La struttura grezza ha sul perimetro una serie di piccole forature in successione e distanze regolari eseguite manualmente e con molte cura. L’impagliatore “cuce” il filo costituito da corteccie di canne d’India con ancore la cuticola di rivestimento naturale, facendolo passare alternetivamente nei fori ed intrecciandolo consecutivamente ottenendo una ragnatela. Le giunte necessarie sono occluse nel fori. Ad opera terminata vengono bruciati tutti i peduncoli taglienti delle canna e successivemente l’intreccio viene leggermente inumidito per aumenterne la tensione. La qualità dell’ esecuzione si denota della regolarità delle geometrie dell’intreccio e dall’uniformità della tensione.

LUCIDATURA
Due sono le tecniche impiegate per la lucidatura manuale dei mobili.
A cera d’api: si esegue prevalentemente su superfici intagliate e mosse. Consiste in una prima stesura di una vernlce turapori, successivemerite levigeta con lana metellica che ne ammorbidisce la superficie. Su questa si passano successive rnani sovrapposte di cera d`api che vengono brillantate con batuffoli di ovatta.
A tampone di spirito: si esegue su superfici piane. In più fasi successive di stesura con tampone di stoffe imbevuto di vernice a base alcolica e cera alternete a brillantature, si arrive alla stesure finale che consiste nelle stesura di une soluzione lucidante con essiccazione ad aria.

TAPPEZZERIA
Le imbottiture sono eseguite seguendo la regola d‘arte classica nelle costruzione di mobili imbottiti. Sul fusto in legno terminato, cioè lucidato, vengono tese delle cinghie intrecciate ed ancorate al fusto. Su queste si ancorano delle molle di acciaio a spirale conica. Successivamente vengono appiicati più strati di meteriali diversi, tra cui il crine vegetale. Sopra questi un tessuto tecnico di protezione, infine viene applicato il tessuto finale, decorativo, che viene teso e fermeto al telaio con le classica chiodatura con borchiette, oppure con chiodi a testa piatta. poi mascherati da una passamaneria in tessuto di colore studiato per essere in tono col tessuto.

INTARSIO
Decorazione policroma piana ottenuta dall’accostamento ad incastro di legni di colori diversi, senza colorazione aggiunta. Le sfumeture si ottengono introducendo il singolo elemento in sabbia calda. ll tempo di permenenze e la quantità di sabbia inducono lo scurimento sfumato sulla superficie voluta, ed esempio un petalo di fiore o un vaso sono ombreggiati da un tono piu scuro che ne sottolinea concavità o convessità. Il taglio di ogni singolo pezzo avviene manualmente, così come l’incastro. I vari componentl del puzzle non possono mai essere sovrapposti, pena lo scollaggio. La qualità dell’esecuzione si giudica dalla perfezione degli accostamenti La fase successive alla composizione della figura e l’incollaggio sulla struttura del mobile. Infine un’accuratissima pulitura e lucidatura daranno contrasto e profondità all’intarsio.

INSERTI IN MADREPERLA
Una tecnica tutta particolare è l’inserto, nel legno di materiali diversi, come la madreperla o le placche di ottone. Per poterle fare si deve, preventivamente scavare, incidere il materiale per la profondità necessaria ad accogliere il decore da inserire. Tale scavo deve essere preciso e può essere fatto solo manualmente. Un’ applicazione dell’inserto si avvale dl speciali colle che ne assicurano la tenuta, Avviene pei un’accurata pulitura che appiana la superficie prima della lucidatura finale.

DECORATURA A PITTURA
La decorazione viene effettuata sulla superficie del mobile che ha subito un trattamente di preparazione, per impedire lo spandersi del colore nella porosità del legno. La decoraziene avviene con colorli copronti ed a fasi successive per consentirne l’asciugatura, Le sfumature sono ottenute a pennello, tutta l’operazione è manuale, senza l’ausilio di tecniche come lo stencil, la serigrafla o Ia decalcomania. Ogni decorazione é un pezzo unico, eseguito con molta cura per il particeoare. A decorazione ultimata si esegue un’ulteriore stesura di vernice trasparente per garantirne la durata nel tempo.

FUSIONE A CERA PERSA
Antichissima tecnica, consiste neil’ottenere piccole e medie decorazioni in bronzo ricorrendo all’uso di elementi in cera che vengone stampati singolarmente da un modello originale. Gli elementi di cera vengone ricoperti di creta refrattaria e, quanoe questa è asciutta, vengone messi in forno. La cera, scaldandosi, lascia un vuoto che ferma lo stampo di fusione nel quale viene successivamente colato il metallo allo stato liquido. A metallo freddo viene rotto l’involucro in creta che rivelerà il pezzo finito. A sua volta questo pezzo andrà limato, pulito, lucidato, protetto ed infine applicato al mobile.

CUOIO INCISO A CALDO
L’incisione del cuoio è praticata da millenni. Sul cuoio preventivamente conciato e finite con concia vegetale si imprimono decorazioni, ottenute da stampi a rullo in ottone, scaldati fino quasi all’incandescenza. Si ottiene un’imprimitura a bassorilievo che per l’effetto delle stampe calde acquista un tone piu scuro. La stessa operazione, effettuata con l`aggiunta di un nastro dorato, lascia un’incisione in oro nel cuoio.

L’INTAGLlO
L`intaglio avviene manualmente dopo una prima sbozzatura che grossolanamente accenna, nel rnateriale, la forma. Questo si fa, naturalmente sui pezzi singoli, che piu tardi, assemblati cestituiranno il rnoblle. Per esempio una gamba, oppure il fregio terminale di una credenza. Può succedere che, come per la scultura, ad un certe punto della laverazione, affiori un difetto del legno, che purtroppe deve essere scartato, e cosa per niente inusuale, tutte il lavere precedente va perduto. La scultura ad intaglio si esegue con oppertuni strumenti da taglio, generalmente scalpelli, di forme diverse, secondo il tipe d’effetto plastico che si vuole ettenere, E il tipo di laverazione per la quale si trovane sempre mene addetti, data l’alta perizia tecnica richiesta: e in assoluto il lavoro ebanistice che richiede il piu lungo apprendistato.

Fernando Saracino presenta: CAPORALI

Posted by: admin / Posted on: 10 Luglio 2009 / Category: Arredamenti & Suggerimenti d'Arredo

In Toscana, terra di tradizioni antiche, si tramanda da millenni un’arte che è quella della lavorazione del metallo, per merito di artigiani che ancora oggi, con mani sapienti, riescono a forgiare il ferro con colorazioni originali ed appropriate secondo il gusto che distingue da sempre CAPORALI. Ne scaturiscono emozioni uniche, che unite al design attuale, rappresentano sempre originali novità per il tempo in cui viviamo, appprezzati da molti. CAPORALI presenta un’ampia collezione di letti ispirati alla tradizione e frutto di molti anni di esperienza nella creazione di letti e complementi d’arredo, dal gusto raffinato ed inconfondibile. La sapiente manualità delle lavorazioni artigianali, costituisce per la CAPORALI il principale obbietivo, percè ogni pezzo firmato CAPORALI è davvero un’opera d’arte!

Fernando Saracino presenta il Decò Francese

Posted by: admin / Posted on: 30 Giugno 2009 / Category: Arredamenti & Suggerimenti d'Arredo

Saracino Art Decò
Il termine “Decò” fu coniato a posteriori, verso gli anni Sessanta, per inquadrare la produzlone dei primi decenni del Novecento. II termine venne ricavato dall’Exposition Internationale des Arts Décoratils tenutasi a Parigi nel 1925, appuntamento dl consacrazione dell’ornamento, che rappresenta il momento culmlne dl questo stile. Nato dal bisogno di superare, con un atteggiamento “moderno” e consapevole, lantitesi tra industria e artigianato, lo stile Decò è stato caratterizzato dalla convivenza parallela di due aspirazioni apparentemente opposte: da un lato, la reazione alla “macchina” come strumento di banalizzazlone e impoverimento del gusto; dall’altro, la ricerca di una nuova cultura del progetto (e del prodotto) che sfruttasse i valori positivi della meccanlzzazione considerata portatrice di rinnovamento sociale. In sintesi, si tratta di due direzioni in cui la prima orienta il prodotto verso l’accentuazione delle qualltà artigianali, recuperando le raflinatezze della manualltà, con l’intento di dare continuità al passato; nella seconda, il legame col passato è volutamente spezzato: la decorazione viene abbandonata a favore della geometria e della funzionalità concretizzata in forme nuove, semplici e rigorose, in cui l’essenza della produzione industrlile viene assunta come fondamento intellettuale per la progettazione. All’interno dei due estremi che rappresentano le linee di confine della produzlone Decò, il mobile incarna il doppio requisito di mantenere la continuità col passato ln risposta alle aspirazioni borghesi, e insieme evitare di rimanere nell’imitazione e nel revival attraverso la semplificazione formale. Lo stile Deco è l’espressione di queste premesse concretizzate attraverso una trasformazione graduale del Liberty: “I colori da tenui e morbidi diventano violenti e contrastanti, domina ll nero e il tondo oro; le sagome da fluide e mosse si irrigidiscono, ordinate in una composizione simmetrica; i volumi sl fanno conilstentl, alla linea curva si sostituiscono la linea retta, lo spigolo acuto, il gradino; le superfici lisce costringono la decorazione in piccoli riquadri od ovali al centro del mobile. ll repertorio decorativo assume forme astratte a stelle, spirali, cerchi, triangoli, quadrati… I materiali vengono scelti con cura: legni esotici. radiche o legni nostrani, noce o castagno, dipinti in colori raffinati, grigio gralite, rosso amaranto, applicazioni metalliche dorate o argentate, contribuiscono ad arricchire il mobile, ad offrire un’idea dl raffinatezza e di lusso che è quanto richiede la borghesla aggressiva del primo dopoguerra, desiderosa di darsi un’immagine nuova”. Benché entrambe queste direzioni d’ispirazlone alla tradizlone e l’ideale di modernita del gusto contemporaneo avessero in comune l’idea di rinnovamento, sia della struttura sia della decorazione del mobile, nella produzione Deco prevalse la tendenza al recupero dei valori simbolici e decorativi degli oggetti, sfociata nella realizzazions di mobili d‘elite. “Destinato prevalentemente ad un pubblico elegante e squisito, il mobile Decò si presenta spesso come una specie di scrigno di materiali preziosi e ricercati dove l’arte del mobiliere poteva esprimersi al livello piu qualiticato, proponendosi come una continuazione della più alta tradizione ebanistica settecentesca’. ‘Per la maggior parte, i prodotti Decò tralasciano l’obiettivo della funzionalità, preferendogli “la rlcerca di effetti artistici per interni sontuosi, destinati a una clientela esclusiva e aggiornata per cui la casa significava anche una cornice di mondanità… Le strisce scure dell’ebano macassar. i patterns intricati screziati del legno di amboina, simile al mogano e proveniente dalle Niolucchs, e quelli del noce, accentuati da una perfetta lucidatura, i rivestimenti in guscio di tartaruga, in pelle dl zigrino… di serpente o anche di pescecane… costituivano cosi i segni distintivi di una produzions realizzata per un’elite desiderosa di stabilire un proprio status di gusto e di comportamento recuperando alla costosa quello che veniva tolto alla complessità del disegno”. II Decò rappresenta quindi il momento di assimilazione degli stimoli culturali dell’avanguardia all’interno della tradizione, in elaborazioni di grande qualità. Attenzione e accuratezza caratterizzano realizzazioni di grande eleganza. Attenzione ai volumi della composizione e alle superfici, introduzione di profili frammentati, mossi e dinamici, in cui si alternano linee curve erette che creano effetti insoliti e ricercati di luce e ombra; motivi a sporgenze e a gradini orizzontali o verticali per articolare superfici e volumi, in cui all’ornamento vengono dedicate zone ben precise dell`oggetto; scelta delle più svariate essenze legnose, dall’ebano alla palma, al palissandro, al sicomoro, al mogano, insieme all’acero e al frassino, usate accostando le varietà decorative delle venature dell’impiallacciatura all’aspetto compatto delle parti massello uso di materiali di pregio e di tecniche accurate, laccature estremamsnte laboriose ottenute con procedimenti di lavorazione lunghi e raffinati, che potevano dar ssito sia a superfici periettamsnts Iucids s Isvigats che a corrugamsnti, traslucidita, morbidezze e quanti piu possibili slimoli e curiosita sensoriali e tattili; sets, velluti, bordature in fili d’oro; psrgamene, pelli di ssrpsnts o di pescecane 0 di cavallino, avorio. como, madreperla, fino al trasgressivo inserimento deIl’acciaio cromato a sottolineare l’emancipazione dai precedenti canoni stilistici, curato fino ad imprimergli effetti sfarzosi in accostamento ai legni, all`argento, agli specchi. Rendere nobile ogni cosa, anche la piu umile, attraverso l‘attenzione posta nelle proporzioni dal bisogno o nella soluzione non scontata dei materiali, con accostamenti che accentuassero il vigoro oaprossivo di ognuno; Iavorazioni scrupoloso a pazionti, ricorca di offotti cromatici, di contrasti di superfici o di suggestioni tattili o visivo, por giungero a oggetti che, grazie alla sapiente opera dell’‘arteficio, raggiungassero la massima eleganza espressiva.

FRANCESCO MOLON

Posted by: admin / Posted on: 26 Giugno 2009 / Category: Arredamenti & Suggerimenti d'Arredo

La FRANCESCO MOLON nasce nel 1966 proponendo riproduzioni di mobili d’antiquariato Europeo, con più di un centinaio di artigiani altamente qualificati ed esperti in verniciaturae applicazione della foglia oro (DORATURE), propongono il loro prodotto intutto il mondo.
La FRANCESCO MOLON produce quattro eleganti collezioni:
– XVIII secolo
– NEW EMPIRE
– ITALIAN and FRENCH COUNTRY
– EXECUTIVE LINE

FRANCESCO MOLON a livello internazionale è una figura molto apprezzata sul mercato. Con l’apertura del nuovo showroom circa 8 ani fa, FRANCESCO MOLON è impegnato nell’espandersi globalmente. Infatti ha aperto nuovi showrooms a High Point, Mosca, San Pietroburgo. I mobili della FRANCESCO MOLON sono famosi nel mondo per la loro storica bellezza e precisione, praticamente è l’antiquariato del futuro.

DOLFI

Posted by: admin / Posted on: 26 Giugno 2009 / Category: Arredamenti & Suggerimenti d'Arredo

L’attività di DOLFI ha inizio nellontano 1960 con na produzione specializzata in mobili da ingresso, consolle e specchi. Negli anni ’90 la DOLFI prospera e incrementa ulteriormente fino a che nel 1996 inaugura la nuova struttura. Attualmente la DOLFI, essendo sempre pronta a soddisfare ciò che il mercati richiede, è in grado di fornire un vasto assortimento di articoli.
La DOLFI MOBILI si distingue anche nel rapporto qualità prezzo perchè con molta facilità si adatta alle continue trasformazioni del mercato. DOLFI per la costruzione di questi mobili usa dei materiali e delle vernici che non contengono sostanze che possono recare danno all’ambiente, all’uomo, alle cose.

GIUSTI PORTOS

Posted by: admin / Posted on: 26 Giugno 2009 / Category: Arredamenti & Suggerimenti d'Arredo

Da bottega, oggi è un’azienda conosciuta e molto stimata. Oggi ha ampliato la produzione con una collezione di mobili di tradizione Classico/Moderno. La forgiatura è la massima espressione della GIUSTI PORTOS,la quale resta semp5re basta sulla manualità. Tra i prodotti che GIUSTI PORTOS produce (interamente a mano) ci sono letti in ferro e legno, armadi, gruppi notte (comò e comodini) e molto altro…

ZANABONI

Posted by: admin / Posted on: 26 Giugno 2009 / Category: Arredamenti & Suggerimenti d'Arredo

Specialista nelle realizzazioni di divani ed imbottiti in genere di finitura CLASSICA. I materiali usati nella lavorazione della ZANABONI sono il meglio delle produzioni mondiali le quali oltretutto permettono di creare nuove tendenze che segnano la moda. Gli artigiani della ZANABONI, titolare in primis, sono in grado di realizzare il meglio del meglio perchè ricchi dell’esperienzaacquisita da tanti anni. ZANABONI cura molto sia l’aspetto estetico che quello della durata nel tempo.

BAGA

Posted by: admin / Posted on: 26 Giugno 2009 / Category: Arredamenti & Suggerimenti d'Arredo

Alla BAGA HOME COLLECTION si creano e producono apparecchi decorativi adatti all’illuminazione. PLafoniere, appliques e lampadari vengonocostruiti in ferro battuto modellato e forgiato a mano. Ogni apparecchio è dipinto a mano e generalmente protetto conparticolari vernici che ne garantiscono la conservazione.

VITTORIO GRIFONI

Posted by: admin / Posted on: 26 Giugno 2009 / Category: Arredamenti & Suggerimenti d'Arredo

E’ uninsieme di ARTE, CULTURA, LUSSO e RICCHEZZA.
Le forme dei mobili vengono messe in risalto dalla bellezza dei colori e delle decorazioni.
VITTORIO GRIFONI costruisce i suoi mobili con legno di qualità che con l’incredibile maestria degli ebanisti più famosi fanno da sfondo a vere e proprie opere d’arte. Le decorazioni dei mobili della GRIFONI VITTORIO si rifanno a dipinti e affreschi presenti nei tanti palazzi storici di Firenze, anche nei libri di storia dell’arte.

‘I MAGGIOLINI’ di MOBILI VILLA

Posted by: admin / Posted on: 26 Giugno 2009 / Category: Arredamenti & Suggerimenti d'Arredo

Questa serie di mobili ‘I MAGGIOLINI’ risponde a principi di ammirevole sobrietà strutturale; unica ornamentaazione un minuscolo e delicato lavoro ad intarsio con cui l’artista-intarsiatore, disegna sulle lisce superfici motivi folreali, nodi svalorizzati, stemmi e trofei nonchè motivi paesistici. Si alternano lavorazioni complesse, consentite solo dall’ausilio di macchine elettroniche moderne, a lavorazione da una tradizione centenaria, affidando l’effetto cromatico unicamente al delicato contrasto fra le diverse sfumature dei legni impiegati.

1 2 3 4 Next

Articoli recenti

  • Esempi realizzazioni
  • Esempio realizzazione studio
  • Progetto eseguito Roma 2
  • Progetto eseguito Roma
  • Boiserie eseguita in Russia

Categorie

  • Arredamenti & Suggerimenti d'Arredo
  • Attualità
  • Progetti eseguiti
  • Storia dell'Arredamento

Meta

  • Accedi
  • RSS degli articoli
  • RSS dei commenti
  • WordPress.org
Copyright Saracino Arreda 2023. All Rights Reserved